Pensare in modo efficace può fare la differenza in termini di emozioni e qualità di vita, e l’abitudine ad un certo tipo di pensiero si apprende precocemente, anche se è probabilmente influenzata da fattori biologici e temperamentali.
Come qualsiasi abitudine, anche quelle al pensiero irrazionale possono essere disapprese, ma ciò richiede sforzo e fatica in quanto tutte le abitudini sono resistenti.
Secondo la mia esperienza e formazione, anche se il pensiero disfunzionale può estrinsecarsi in modi diversi, sono due le abitudini di pensiero più dannose, le quali trovano terreno fertile nella famiglia e nella società in genere: l’abitudine a considerare importantissimo il giudizio degli altri, ed a credere che ci si debba comportare sempre all’altezza per essere persone degne di valore.
PAURA DEL GIUDIZIO ALTRUI
La prima ideologia irrazionale è fondata sul concetto di “bisogno“: si arriva a ritenere che sia assolutamente necessario essere apprezzati dagli altri. Naturalmente per un bambino è proprio cosi’, e se egli non ricevesse l’amore incondizionato di una figura adulta, sarebbe destinato a morire.
Ma per un essere umano adulto, è discutibile che sia cosi’.
Anche se essere accettati ed apprezzati dagli altri è una tendenza ancestrale, e quando non esisteva la civiltà essere espulso dal gruppo significava morte certa o quasi, nel mondo realistico di oggi in cui viviamo è possibile ritradurre questo bisogno: da obbligo a preferenza, da necessità a desiderio.
Quando una persona agisce sulla base di un legittimo desiderio di essere apprezzata, agisce saggiamente e per il suo stesso bene, anche perchè cosi’ facendo può ottenere vantaggi concreti utili al benessere ed alla sopravvivenza.
Secondo gli studi clinici di Ellis e dei suoi seguaci, questa credenza è invece in grado di arrecare sofferenza emotiva quando si crede che essere giudicati bene sia un bisogno imprescindibile, e che se qualcuno alla cui stima teniamo non lo fa, ciò sia gravissimo e catastrofico.
La sofferenza emotiva sarebbe quindi collegata al pensiero assolutistico e dogmatico.
Lo scardinamento delle credenze disfunzionali è un processo mirato a scuoterne i riferimenti di sostegno, mediante una direttrice concettuale, una esistenziale ed una pragmatica.
La prima è importantissima, perchè mira a mettere in discussione la veridicità di una abitudine di pensiero.
Essa fa leva sulla spinta interna alla coerenza, a credere in qualcosa soltanto se ci sono dei motivi precisi per credere che essa sia vera; questa spinta è in grado di andare oltre i condizionamenti del passato.
I nostri genitori ci avranno insegnato che esisteva la Befana e tutti per un pò di anni ci abbiamo creduto; quando poi abbiamo cominciato a chiederci “ma è proprio vero?“, abbiamo smesso di crederci.
Si può cambiare idea anche su quello che ci hanno insegnato i genitori, i maestri o il prete.
Domandandosi se esistano prove oggettive che asseriscano che esista un bisogno assoluto di essere apprezzati, domandandosi quante volte a causa di un giudizio negativo altrui, si siano subite conseguenze gravissime.
Si riflette anche su come un’ideologia del genere non aiuti a vivere bene, ed a raggiungere lo scopo di essere apprezzati.
Ridimensionare il concetto di assoluto bisogno dell’approvazione altrui, può portare a scoprire un senso di libertà galvanizzante.
EQUIPARAZIONE TRA COMPORTAMENTO E VALORE PERSONALE
La seconda ideologia si fonda invece sul concetto di “dovere” e dà adito alla complessa questione del valore personale.
Come la prima, è una manifestazione del pensiero assolutistico e dogmatico.
Il punto debole di questa abitudine di pensiero è dato dalla equiparazione di come ci si comporta, al proprio valore personale.
Se una persona fa un grave errore, significa che non vale niente? Che è priva di valore?
Evidentemente, no. La gente non è il proprio comportamento. Non a caso, si usano due verbi diversi: fare, ed essere.
Evidentemente, quell’errore è una cosa, non è tutte le cose che ha fatto e che farà.
Se si volesse giudicare una persona sulla base delle cose che fa, bisognerebbe prenderle in considerazione tutte, da quando è nata, fino a quando muore: come si fa a tirare le somme per dargli un valore globale come persona?
Una persona nell’arco di una vita produce milioni di comportamenti, alcuni sono buoni, altri meno, ma questi non possono dare una misura definitiva del valore personale.
Non possono darlo le prestazioni, e nemmeno le qualità; in questo caso è l’avere che si trasferisce impropriamente sull’essere: ad esempio, le qualità di avere o non avere intelligenza, coraggio, intraprendenza ecc.
Le qualità non possono identificare pienamente l’essere di una persona perchè esse sono cose che vanno, vengono, migliorano, peggiorano. Si possono perdere e se ne possono acquistare nuove.
Come le prestazioni, sono cose estrinseche al proprio essere, che è invece stabile ed immutabile nel corso del tempo.
In definitiva, l’essere può coincidere soltanto con la posizione dell’esistenza, con la condizione di essere umano vivo, e con la potenzialità del divenire, implicita in tale condizione.
Anche gli esistenzialisti hanno fatto notare che l’essere di una persona non è un processo statico, ma comporta la possibilità del divenire, di trasformarsi creativamente in qualcosa di diverso da ciò che si è in un dato momento. Il processo del suo divenire, più che il prodotto del suo già essere divenuto, può ben essere l’aspetto più importante della sua esistenza. Perciò, il fatto che adesso sia divenuto questo o quello (ad esempio insoddisfatto o infelice) non vuol dire che in futuro non possa divenire qualcosa di totalmente diverso.
L’idea del valore umano è perciò una questione mal posta. E’ ovvio che gli individui abbiano un valore estrinseco o sociale, nel senso che gli altri li considerano grandi o piccoli, utili o inutili come colleghi, partner o compagni; ma per se stessi non hanno realmente un valore, perlomeno non nell’accezione più comune del termine.
Rendersene conto, e riuscire a tenere separato ciò che si è da ciò che si fa, è una delle chiavi più preziose per il benessere emotivo.