E’ notizia di pochi giorni fa, la morte volontaria (almeno così pare) di Manuel Vallicella, tatuatore veronese di 35 anni, lanciato alla ribalta dalla partecipazione come ‘’tronista’’, alcuni anni fa, al popolare show condotto da Maria De Filippi.
Cosa può spingere una persona giovane, ed in salute, a compiere un gesto così estremo?
Forse c’è la subdola azione di un grande impostore, il successo, con il fulgore di fama e lusinghe, e l’icarica caduta dall’altare della popolarità alla polvere del dimenticatoio.
In questo, si annida il dramma dell’identificazione: fare di se stessi un ruolo, non accettarne l’insita esteriorità e transitorietà, confondere il volto con la maschera.
Crollata la maschera, ci si sente svuotati di identità, come un attore che confonde la sua parte con la vita reale, ed una volta sfumate le luci di scena non ritrova più se stesso.
La parola identificazione contiene i termini ‘’idem’’ e ‘’facere’’: in un certo senso significa fare di sé qualcosa; il senso di identità viene rimesso a ciò che si fa, ma anche a ciò che si ha.
Fare ed avere, in contrapposizione ad’ ‘’Essere’’.
Oggi ci si identifica sempre di più, in una società altamente egioca, con ciò che si fa, o che si possiede: come i galli del museo di Nabeul che sono impegnati ad accumulare ricchezze, molti uomini e donne si identificano con il successo o la carriera, così come con l’immagine esteriore e la bellezza fisica, tutti aspetti effimeri ed evanescenti, che portano diverse persone a non accettare di invecchiare e ad infilzare a colpi di bisturi le implacabili rughe.
Come posso costruire la mia identità, il senso più profondo di chi sono io, sulla base di ciò che faccio e di cosa ho, che sono per definizione aspetti mutevoli e transitori della vita umana?
Il corpo cambia, la bellezza evapora, il ruolo che ho oggi posso perderlo domani, così come posso perdere qualsiasi altra cosa che ho: materiale ed immateriale, come ad esempio le qualità personali; l’intelligenza, la creatività, la costanza e tantissimi altri tratti e caratteristiche umane sono aspetti che vanno e vengono, che possono migliorare o peggiorare, che posso perdere e riacquistare.
L’unica cosa stabile ed immutabile nel tempo, da quando si entra nel corpo a quando lo si lascia, è l’essere: essere dal principio (di questa, o di tutte le altre esistenze passate), lo stesso, identico essere umano vivo.
Più si riesce a dare valore al senso profondo dell’essere, a questa intangibile essenza, più sarà facile comprendere che non serve identificarsi con il successo ed altre illusioni, ombre danzanti dell’impermanenza.
Scriveva Hartmann, lo scorso secolo:
‘’Chi sono io? Sono quest’uomo, nato sul pianeta Terra.. sono nato nudo e sono destinato a morire.. diventare un professore o, in quanto a ciò, qualunque altra cosa, è diverso dall’essere quest’uomo nato sul pianeta Terra e destinato a morire.. ed identificarci con questo è il compito più difficile ed importante della nostra vita morale’’