In questo articolo voglio raccontare una storiella di origine buddista molto semplice quanto nota.
Essa parla di due monaci buddisti che un giorno, stavano facendo ritorno al loro monastero, camminando in silenzio.
Mentre camminavano lentamente, erano naturalmente impegnati a praticare lo stato di presenza, osservando i loro pensieri e il mondo circostante in modo distaccato.
Giunti alla riva del fiume che li separava dalla loro meta, notarono che non c’era il barcaiolo che solitamente li traghettava dall’altra parte del fiume.
Attesero un po’ di tempo, ma questi non si fece vivo.
Nel frattempo, giunse una giovane donna che analogamente si mise in attesa del barcaiolo per attraversare il fiume.
Cominciava a farsi buio, per cui decisero che non era più il caso di aspettare e che sarebbe stato meglio attraversare il fiume da sé.
Vedendo però la donna in difficoltà, uno dei monaci si offrì di aiutarla e la portò sulle spalle mentre attraversava il fiume.
Dopo la traversata, la donna ringraziò e i due monaci proseguirono il loro cammino verso il monastero in silenzio.
Dopo un pò, l’altro monaco interruppe il silenzio:
«Come hai potuto fare una cosa del genere? Noi non dovremmo avere nessuna relazione con le donne, figurati poi toccarle ed addirittura portarle sulle spalle!»
Il monaco che aiutò la donna compassionevolmente rispose:
«Io ho lasciato quella donna tempo fa, sulla sponda del fiume, ma tu, mio caro, la stai ancora portando con te».
Allora l’altro monaco comprese, ed il silenzio la pace interiore ritornarono in lui.
Questa breve storia mi è sempre piaciuta molto, perché la realtà che disvelano i due protagonisti, è profondamente diversa dal piano delle apparenze.
A prima vista, sembrerebbe che il monaco che decide di prendere in braccio la ragazza sia troppo permissivo, quasi lascivo, e che l’altro monaco rappresenti l’integrità e la rettitudine.
L’apparenza viene però squarciata via dal fluire del racconto, che dimostra come quel monaco apparentemente integerrimo, abbia pensato a quell’evento per tutto il giorno, arrivando a biasimare il suo compagno di viaggio ed a rimanere legato con la mente a quel momento appartenente al passato.
Il monaco che ha preso la giovane donna in braccio invece, ha vissuto quell’evento solo nel momento in cui si è verificato, e pur avendolo vissuto, ne è rimasto meno influenzato rispetto all’altro monaco che aveva soltanto osservato dall’esterno.
Egli, semplicemente, ha lasciato andare.
Questa favola, in fondo, parla proprio di ciò: la leggerezza e la bellezza che nascono dal saper lasciare andare.
Questa levità è più facile trovarla quando ci si impegna a vivere soprattutto nel presente, a percepire la vita come un eterno momento presente in cui c’è sempre meno spazio per i ricordi ed i rimpianti del passato e le anticipazioni negative del futuro.
Il monaco più audace, chiamiamolo così, poteva pure aver commesso un’azione un po’ avventata (interpretandola sotto i rigorosi canoni della dottrina), ma la sua capacità di fluire gioiosamente e spontaneamente con la vita nel momento presente, hanno fatto sì che non ne restasse minimamente influenzato.
E’ stato l’altro monaco invece, a percepire dei tormenti emotivi (fatti di vergogna, colpa, rabbia), pur senza aver agito in prima persona, per l’incapacità di lasciare andare.
Molto bella Fabrizio, non la conoscevo.
Vivere nel qui e Ora è una pratica molti difficile che pero è fondamentale per riacquistare serenità.
Spesso facciamo di tutto per trovarla sperando nel futuro, sognando un domani migliore, ma contestualmente rimpiangendo o rimuginando sugli errori nel passato-
Facendo questo ci perdiamo il presente che è in effetti l’unico momento che merita davvero di essere apprezzato e vissuto appieno.
Grazie mille Fabiano!