Sono convinto che la lingua italiana sia meravigliosa, tanto che quando frequentavo il liceo avevo preso l’abitudine di studiare intere pagine del vocabolario, ed ancora oggi sono impegnato nel processo di indagare significato ed etimologia di parole ricercate e suggestive.
Tuttavia, del tutto casualmente, rileggendo un vecchio articolo di giornale che avevo conservato, e quando per il mio blog avevo già in mente un diverso nome, mi sono imbattuto in questa parola araba, samar, che già a suo tempo mi aveva affascinato.
Anzitutto, in questa parola ho sentito la familiarità sincratica delle nostre parole “sa” e “amare“, che riflettono i valori per me essenziali della saggezza e conoscenza, e della voglia di dare.
In lingua araba, samar esprime un concetto intraducibile nel nostro idioma con un singolo vocabolo, che è questo:
“sedersi insieme per raccontare storie all’ora del tramonto“
Racconta un’usanza antica nel tempo dove secondo la tradizione gli abitanti dei villaggi si incontravano la sera per raccontare storie e declamare poesie. L’atmosfera era informale e chiunque poteva partecipare, anche se di solito a parlare erano le persone più anziane e sagge.
Mi suggestiona molto anche il tempo del samar, il fatto che esso conosca il suo principio quando il giorno sta trovando la fine: da sempre trovo più emozionante, rispetto all’alba, il tramonto, al sole la luna, forse in questo c’entra anche il mese in cui sono nato e taluni influssi planetari (aspetti formati dalla distanza in gradi tra i pianeti al momento della nascita), che più che al principio delle cose mi rendono ricettivo alle fasi che ne annunciano la trasformazione.
Nel libro “L’harem e l’Occidente” di Fatima Mernissi, l’autrice, una sociologa marocchina, contestualizza la parola all’ambito della comunicazione tra amanti.
In particolare, viene fatto riferimento alla mitica figura femminile di Shehrazad di “Le mille e una notte”.
La storia è incentrata sul re persiano Shahriyar che, a causa del tradimento subito da una moglie, diventa crudelmente vendicativo ed uccide tutte le sue spose dopo la prima notte di nozze.
Shehrazad allora escogita un piano per placare l’ira del sovrano verso il genere femminile: dopo essersi offerta sposa, racconta ogni sera una storia diversa al re, rimandando il finale al giorno dopo.
Va avanti così per “mille e una notte” ed alla fine il re, innamoratosi, le rende salva la vita.
Il samar quindi ha anche un significato più esteso, che apre le porte della seduzione attraverso le parole: indica la sensualità complice che si può instaurare tra gli amanti quando essi conversano fitto nel cuore della notte. Nell’ombra della luna, il dialogo tra uomo e donna che può sembrare difficile in pieno giorno, diventa più accessibile, e la fiducia tra i sessi può fiorire quando l’ordine diurno, teso al conflitto, si attenua.
Al di là delle suggestioni fiabesche, ho voluto appropriarmi di questa parola araba e del concetto che esprime, per rappresentare l’essenza di questo blog: la sua natura interiore ed intimistica, come se idealmente, davanti al tepore di un focolare e sotto il chiarore della luna, io potessi raccontare delle esperienze di vita ed aprire un punto di vista soggettivo su aspetti quotidiani dell’esistenza, anche ulteriori rispetto alla motivazione ed al progresso personale.
Ne viene da sè che in questa mia creazione non c’è alcuna finalità promozionale o commerciale, nè tantomeno quella di allestirmi una vetrina per una ipotetica ribalta da formatore o consulente di sviluppo personale; i miei obiettivi professionali, come sempre, continuano ad essere legati alla mia professione “storica” di formatore in campo assicurativo, dove tra l’altro sono un formatore non solo tecnico, ma anche comportamentale e ciò mi permette di appagare i miei più importanti valori personali.
Il fine ultimo è aprire parte del mio mondo al villaggio globale dell’umanità, portando il mio “racconto” che è uno dei tanti possibili; e se qualcuno, dovesse immedesimarsi in qualche parte di esso o trovare spunti utili per qualche aspetto della propria vita, ecco in questa connessione silenziosa ma autentica il mio lavoro avrebbe trovato il suo scopo più alto.