Per definire meglio il ruolo del coach, partirei da ciò che secondo me un coach NON è:
– Non è un filantropo
La relazione di coaching non è una relazione d’aiuto, ed asimmetrica come avviene in contesti come quello psicoterapeutico. La relazione è maggiormente improntata alla collaborazione.
– Non è un motivatore ed uno stimolatore
il coach non è colui che, con semplici ricette, fa rifiorire stimoli e motivazioni nella vita delle persone.
– Non è un consigliere
Non è colui che dà consigli o suggerimenti.
Il coach è invece un allenatore, un educatore delle potenzialità individuali, al fine del raggiungimento di obiettivi concreti e di una vita complessiva più felice.
Questa è la definizione più appropriata del coach umanista.
C’è da dire comunque che il coaching, pur essendosi dimostrato efficace, sia ancora alla ricerca di una validazione scientifica e che nel rapporto con il cliente, il metodo incide solo in parte: il fattore determinante è dato dalla personalità del coach e dal suo stile di relazione con il cliente.
Qual’è la peculiarità del metodo?
A differenza di altri metodi di intervento, il coaching è più orientato sulla soluzione che sul problema.
Nell’impostazione culturale dominante infatti, si tende a concentrarsi su ciò che non funziona: se uno studente ha 8 in italiano e 4 in matematica, si lascia da parte l’italiano che funziona bene, e si pone la concentrazione su cosa fare per riparare il brutto voto in matematica.
Nel coaching il procedimento è inverso: ci si concentra innanzitutto su quello che funziona. Si lavora sulle potenzialità in quanto lo si ritiene il modo migliore per accrescere il potere personale.
Ciò in conseguenza di una precisa supposizione teorica: la connessione tra punti di forza e punti di debolezza.
In fin dei conti, si vedono le cose dal punto di vista secondo cui i punti di forza non sono ancora cosi’ “forti” da compensare i punti di debolezza: tornando allo studente con il 4 in matematica, se in Italiano avesse 10 anzichè 8, avrebbe comunque la media del 7.
Nel coaching non si lavora sull’autostima, ma sull’autoefficacia.
L’autostima infatti può essere dannosa non solo quando è bassa, ma anche quando è alta, sconfinando in costrutti negativi come il narcisismo e la valutazione di un sè grandioso e di alte aspettative da parte degli altri al di là del proprio comportamento.
Perseguendo l’autoefficacia invece, il concetto di valore è sospeso e ci si concentra unicamente sulle convinzioni di portare a termine determinati compiti con efficacia, rinforzando le componenti stesse dell’autoefficacia che sono ad esempio la riorganizzazione in riferimenti strutturati di precedenti esperienze di successo, ma anche le esperienze vicarie – dove l’efficacia personale si può incrementare osservando l’agire da parte di altri modelli di riferimento – ed il rinsaldamento dei legami più costruttivi con il contesto di riferimento.
Premessa importante allo sviluppo dell’autoefficacia è la presenza di una sufficiente cura di sè, condizione fondamentale per poter allenare le potenzialità di una persona.
Il concetto di cura di sè ha origine nell’Atene del V° sec. A.C. e prende il nome di “epimèleia heautoù”: per i Greci era una delle fondamentali regole della condotta personale e sociale, e dell’arte del vivere.
I filosofi greci dicevano “Prenditi cura di te stesso, e sviluppa la tua parte migliore“.
Oggi si dice piuttosto “Conosci te stesso”, la parte relativa al prendersi cura di sè sembra avere perso di valore: a volte, anzi, chi lavora sull’auto-affermazione può venire visto come una minaccia, e l’espressione delle potenzialità può suscitare diffidenza e disapprovazione.
In un certo senso quindi, il coach si trova ad essere allenatore delle potenzialità in un contesto che spesso le ostacola.
Ed il contesto, in una relazione di coaching, è anch’esso essenziale: la collocazione sociale dell’individuo esercita un ruolo importante sulla sua identità, perchè ci si può conoscere a pieno solo quando si è in relazione con gli altri.
La relazione di coaching dovrà dunque tenere in forte considerazione le dinamiche legate al contesto di appartenenza del cliente.