Lo scorso Lunedì ho appreso una tristissima notizia: durante un furto dentro un appartamento, il cane domestico, un cocker di nome Ricky è stato scaraventato senza pietà dal sesto piano del palazzo.
Inizialmente i ladri, intenti alla fuga, lo avevano trascinato con loro sul balcone con l’intenzione di rapirlo e chiedere un riscatto ai proprietari ma poi, accortisi del suo peso, lo avrebbero lasciato precipitare per oltre 12 metri, causandone la morte istantanea.
Quanto sembra nobile ed ”umano” il piccolo Ricky, rispetto alla brutale bestialità di chi gli ha inflitto una tale sofferenza, così insensata e gratuita.
Un po’ di tempo fa, durante una conversazione in famiglia, mi sono trovato, come spesso in generale mi capita, a perorare un punto di vista apparentemente insostenibile; sono attratto dal potere del paradosso, dal trovare un fondo di verità in ciò che in apparenza sembra contraddire la logica e il senso comune.
Il contenuto che avevo argomentato con la mia dialettica, era che l’azione di abbandonare un cane per strada (crudele come il destino inflitto al povero Ricky) mi suscitasse più sgomento e repulsione di quanto potesse procurarmene la notizia di un omicidio commesso d’impeto.
In quest’ultimo caso infatti, i miei occhi attoniti fanno da spettatori, davanti al palco della tragedia umana, alla rappresentazione di forze oscure e distruttive, che pur sempre esprimono un sentimento, come succede quando una persona arriva a perdere il controllo di sé sotto l’influenza di emozioni intense come la rabbia, la paura o la disperazione.
In un tale contesto, l’individuo mostra la sua sconfinata fragilità, che lo rende preda di forze emotive primordiali che riflettono una dimensione profondamente umana: il conflitto tra ragione e istinto.
L’atto tragico e terribile, punito severamente dalla legge e che assurge a castigo eterno per chi lo compie e lo riceve, apre tuttavia lo spazio dentro uno spiraglio di comprensione volto verso la vulnerabilità umana che può emergere in circostanze straordinarie, in cui la razionalità viene temporaneamente soppiantata dalle pulsioni.
Al contrario, l’abbandono di un cane, con cui magari si è vissuto assieme per anni, o la sua uccisione o tortura senza una apparente ragione, sembrano del tutto vuoti di questa componente istintiva e impulsiva, e non già il risultato di una forza emotiva incontrollabile, quanto piuttosto di una decisione fredda e calcolata.
Questa disumanizzazione e l’assenza di pietà rendono un atto del genere, ai miei occhi, più riprovevole perché privo di un conflitto interiore, ed incarnazione della pura crudeltà ed indifferenza, e della mancanza di empatia verso la sofferenza di un altro essere vivente.
Pertanto, ribadisco: se fossi costretto a dividere la tavola di casa mia, con un omicida condannato all’ergastolo oppure con un torturatore di animali punito con una multa, io sceglierei il primo.
Ma non lasciatevi ingannare da quanto ho scritto finora; io sono contrario alla retorica animalista.
Non sono tra quelli che potrà mai dire che un cane è uguale a un figlio (pur avendo avuto un cane, e non un figlio), e in modo altrettanto provocatorio sostengo la tesi che l’amore incondizionato del cane al padrone è soltanto un’illusione.
Noi umani ci illudiamo che i nostri amici animali possano amarci incondizionatamente, perché la loro purezza sembra risaltarci in modo così limpido al cospetto delle nostre opacità, e perché vediamo in loro il coraggio ma non la ferocia, la forza priva di arroganza, e la bellezza senza vanità.
Ma il cane (o il gatto, o il pappagallo) non possono offrirci alcun amore incondizionato, perché esso per definizione, per essere tale deve essere scevro da condizioni, e ciò non può avvenire nel rapporto cane-padrone il quale soggiace permanentemente al vincolo della dipendenza.
Anche un bambino può offrire amore vero ed incondizionato alla madre, solo quando cresce e diventa in grado di scegliere se rispettare ed amare i genitori oppure no, mentre prima è obbligato a farlo perché dalle sua cure dipende la sua stessa sopravvivenza.
Tutto questo però, non allevia la violenta barbarie degli ”uomini cane”, uomini incapaci di fedeltà e lealtà, e che nel momento stesso in cui spezzano l’innocenza di un animale (o di una qualunque creatura indifesa) spengono anche la luce della propria umanità.