Riprendo il filo del precedente articolo, in cui ero partito dal concetto di persuasione: nella persuasione si conduce l’interlocutore verso il proprio punto di vista, facendo leva sull’uso di domande.
E’ una conduzione dolce e senza forzature.
Chi persuade non ha un interesse personale, come avviene invece nella manipolazione, quando si tenta di condizionare psicologicamente l’altro per perseguire un proprio tornaconto.
A questo punto, mi è sorta la domanda:
Se io provo a condizionare un’altra persona, unicamente per il suo bene, non con la soavità della persuasione, ma in maniera estremamente ingiuntiva, come si potrebbe definire tale manovra?
Sarebbe più vicina alla manipolazione che alla persuasione, ma andrebbe necessariamente condannata?
Una risposta a questa domanda sembra fornirla un bellissimo film del maestro del thriller psicologico Alfred Hitchcock, ‘’Marnie’’, datato 1964.
Il film narra le vicende di questa giovane donna, bugiarda e ladra seriale, che ha il vizio di farsi assumere presso prosperose aziende per scappare dopo un po’ con il bottino della cassa.
Il gioco regge, finchè la donna viene smascherata da uno dei suoi datori di lavoro, il quale però se ne innamora, minacciandola di farla arrestare se lei fosse scappata e non avesse acconsentito di sposarlo.
Messa alle strette dalla determinazione dell’uomo e dal ricatto, Marnie cede ad un matrimonio senza amore, mentre il facoltoso magnate d’azienda liquida le sue pendenze economiche mettendola al riparo da denunce o arresti.
Sullo sfondo però c’è una complessa trama psicologica: perché la donna sentiva questo bisogno compulsivo di rubare? Perché, non solo non si concede al marito, ma prova disgusto soltanto al pensiero di essere toccata da un qualsiasi uomo?
Marnie ha anche altre fobie, è terrorizzata dal colore rosso e dai temporali, ed è psicologicamente molto instabile.
Sarà il marito, grazie anche all’aiuto di un investigatore privato, che scoprirà la buia cantina in cui si nascondevano i fantasmi che ne infestavano la mente: l’anziana madre, invalida e rigidamente puritana, quando Marnie era piccola faceva in realtà la prostituta ed ospitava dei marinai nel loro appartamento.
Durante una di queste visite di piacere, un’improvvisa colluttazione portò la bambina ad uccidere il marinaio, assistendo alla scena straziante della pozza di sangue che ne impregnava la candida divisa, mentre fuori strepitava il temporale.
Da qui originavano le paure di Marnie, e le sue associazioni fobiche con il sesso.
Una volta scoperta questa fitta ed inquietante trama, la donna viene portata a forza dal marito sul luogo del crimine, l’appartamento dell’anziana madre ancora in vita, e come in un sogno lucido rivive eventi ed emozioni di quella notte sepolta negli anni e negli abissi della sua coscienza: rivivendo il trauma, la donna se ne libera.
E si scopre capace di amare.
Qual è il messaggio che arriva, osservando allo specchio i due personaggi?
Il ricco Mark Rutland, interpretato da un gigantesco Sean Connery, senza dubbio manipola la donna perché con l’arma del ricatto, le chiude la strada che lei avrebbe voluto percorrere: quella della fuga e del ritorno alla sua libertà.
Ma agisce in tal modo, sia perché è innamorato della donna, sia perché sa che solo non lasciandola andare potrà aiutarla a salvarsi.
Marnie, infatti, dove andrebbe se, una volta scoperta da Mark, non si vedesse intralciata nel suo proposito di fuggire?
Tornerebbe ad una vita fatta di bugie, furti e possibili denunce, o conseguenze anche peggiori.
Sarebbe in ogni caso condannata a vivere un’esistenza del tutto priva della libertà cui anelava, incarcerata dietro le sbarre invisibili della sua prigione traumatica.
Se io ti faccio fare ciò che io so che tu vorresti fare (tutti, infatti, vorremmo essere capaci di amare), ma che non riesci, o ignori di voler fare, perchè non sei libera, e te lo faccio fare anche con la forza e vincendo strenuamente le tue resistenze, ti ho manipolata, ma ti ho fatto del bene salvandoti la vita.