Restando in tema musicale, senza voler fare accostamenti al mostro sacro Battisti, qualche giorno fa mi è capitato di riascoltare una canzoncina di quasi 20 anni fa, interpretata da un certo Povia: ‘’Quando i bambini fanno oh’’.
Questa canzone mi ha immediatamente riportato ad un certo periodo della mia vita, ai primi anni del 2000, quando ero nel pieno della mia carriera da venditore e cercavo di scalare posizioni nella gerarchia aziendale.
E’ una canzoncina leggera e disimpegnata, ma nello stesso tempo accompagnata da un significato profondo, teso a mettere in risalto l’innocenza dei bambini, la loro capacità di entusiasmarsi e di stupirsi per ogni cosa.
Il cantautore, nelle diverse strofe del brano, comunica con vividezza che i bambini sono ancora capaci di sorprendersi, ad esempio quando cade la pioggia; mentre l’adulto si irrita e cerca di mettersi al riparo, il bambino guarda la pioggia cadere e si emoziona.
I bambini non si vergognano di nulla, possono anche litigare per un giocattolo ma faranno pace in fretta, ‘’e ognuno è perfetto, uguale è il colore’’, perché per loro non importa come è fatto un bambino, e quale è il colore della sua pelle, lo accettano nei giochi e lo considerano un loro fratello.
Allora, mi domando:
Forse il bambino si meraviglia per la pioggia, perché ancora non sa che quella cosa che sta osservando, si chiama pioggia?
Mi sto semplicemente domandando, stimolato dalle note di una canzone ascoltata con qualche anno in più di maturità e saggezza, se uno dei motivi per cui da adulti smettiamo di stupirci e di entusiasmarci anche per le piccole cose, non sia proprio l’irrefrenabile tendenza a voler dare un nome a tutto.
Sono le etichette di cui parla anche Eckart Tolle nei suoi libri, etichette che finiamo con l’appiccicare addosso a noi stessi ed agli altri, alle emozioni che proviamo ed ai fenomeni della vita in genere.
Queste etichette sono parole, che hanno un potere ipnotico soprattutto quando comunichiamo con noi stessi.
Diventano degli stampi con cui modelliamo il getto liquido delle sensazioni che ci provengono dai cinque sensi, ed una volta che abbiamo creato il nostro stampo, raramente ricordiamo che si tratta solo di un’interpretazione, confondendolo con una realtà oggettiva e inconfutabile.
E’ questo il potere delle etichette.
Prendiamo la parola ‘’ansia’’.
Oggi sembriamo essere intrappolati nella società dell’ansia, ed i giornaletti non scientifici con i consigli degli esperti provano a divulgare i più disparati segreti per liberarsene.
Ma cos’è l’ansia?
Qualcuno l’ha mai vista?
L’ansia, tra l’altro, non è nemmeno un’emozione ben definita, ma uno stato emotivo complesso in cui possono rientrare sensazioni anche molto diverse tra loro, perché si può essere ansiosi per un esame così come lo si può essere di riabbracciare la persona amata.
Ritagliandoci addosso l’etichetta di ‘’ansiosi’’ tuttavia, possiamo arrivare ad identificarci con qualcosa che non ci appartiene, interpretando ciò che ci accade sotto una luce ingannevole, ed auto-condizionando i propri comportamenti proprio perché ci siamo cuciti addosso un’etichetta.
Lo stesso vale per migliaia di altre cose, tra cui la pioggia: abbiamo imparato a definire come tale il fenomeno delle gocce liquide che sgorgano dal cielo, a cui tanti poeti hanno dedicato versi estasiati, e che è nutrimento vitale per la terra e la natura.
Per un adulto però, la pioggia è soltanto un disturbo, qualcosa che non merita nemmeno di essere guardata.
Forse, se imparassimo ad usare meno le parole e le etichette, e ci immedesimassimo di più nel fluire spontaneo della vita, ci manterremmo un pò più capaci di dire: ”oh”.
Voglio concludere questo articolo con la frase di un grande mistico, che diceva:
‘’I bambini smettono di stupirsi, quando cominciano a chiamare passero, quel miracolo che vola’’