Poche ore ancora, e per me è tempo di tornare in scena: domani sarò sul prestigioso palcoscenico del “Teatro Marconi” in Roma, per prendere parte ad una rappresentazione chiamata “The Lady” (La donna): mai come oggi, con questa recrudescenza di pusillanimi violenze contro il gentil sesso, l’occasione può essere propizia per scuotere le coscienze.
In questo tempo sospeso di vigilia, galleggiando dentro una fluttuante macchina del tempo, spezzoni di flashback vividi ed insieme evanescenti come piccoli frammenti di un sogno, mi ricordano tutte le volte che sono già stato in scena, a prestare la mia voce ed il mio corpo alla vita di qualcun altro: perchè è questo il vero scopo di portare in scena un personaggio, un fine che solo con il tempo ho potuto avvicinare.
Ricordo nitidamente la mia prima volta: era Ottobre del 2000, una commediola brillante ed ironica sul tema della diversità, scritta da un regista ex prete di clausura e dichiaratamente omosessuale. Una serata smaccatamente primaverile, in barba all’autunno, tanti amici e parenti tra il pubblico, il prima agitato da dubbi e paure, e dopo quel senso di liberazione e leggerezza cosmica che solo la catarsi teatrale sa dare.
Mi ero avvicinato al teatro per redimermi, per sanare una parte di me che implodeva ingoiando le emozioni, e per sputare fuori quella materia oscura che l’atto creativo e trasformativo della condivisione sa tramutare in energia; ero centrato, in vibrante pace con me stesso, e sentivo che la via imboccata era retta.
I miei flashback continuano adesso a vagare nella saracinesca sfessurata del pensiero insinuandosi nelle maglie di ricordi ed immaginazione: e mi vengono in mente altri spazi incantati, volti di compagni di avventura, emozioni connesse anche a fasi vitali decadenti o rigeneratrici.
Fino all’ultima volta, risalente a poco più di due anni fa, prima che la satanica comparsa del virus prendesse sempre più corpo fino ad inghiottire quegli spazi dischiusi da un sipario: era Luglio del 2019, interpretavo un personaggio impalpabilmente umanissimo in una storia tenera e fiabesca ma con una morale spiazzante, l’ideale per me, che non sono un amante del contentino a tutti i costi.
Quanta differenza, penso, tra lo studentello scanzonato di 20 anni fa, e quest’ultimo, immaginifico spazzacamino: in quel tempo più remoto portai in proscenio la voglia di esibirmi, e di mostrare a me stesso che ero capace. L’ultima volta a contare davvero era impersonificare quell’essere umano, trovando un contatto tra i nostri mondi interiori.
E cosi’, un flashback dopo l’altro, mi rendo conto che domani sarà forse la ventesima volta che salirò su un palco, volte diversissime tra loro, ma in cui la vigilia è sempre la stessa: una vigilia di attesa febbrile, di metaforici mal di pancia e di puntuali apparizioni oniriche di trame amnesiche da scena muta.
Un’attesa che tutto sommato mi piace, e che mi ha accomunato ai cento volti dei miei colleghi dei tempi andati, e che in questo momento pulserà nelle vene anche dei miei compagni di avventura di domani, in questo senso imparentandoci in un unico grande respiro che è quello dell’attore, il respiro di una vita sottile come la larghezza di un capello, ma che contiene in sé brandelli di eternità.
Essere stato con te sul quel palco, due anni fa, è stato per me un onore ed un privilegio, spazzino nottambulo e burlone! Ancora vivo il magnifico ricordo della notte prima del debutto, a far zingarate fino alle quattro di mattina. Una specie di dejavù di Notte prima degli esami, passato come adolescenti tra vino, scherzi ai poveri malcapitati e racconti di malefatte. Merda, merda, merda, amico mio! Domani sera, prima che quel tendone si aprirà e improvvisame le palpitazioni finiranno, anche se non potrò esserci, il mio cuore sarà lì con te!
Ma, parafrasando D’Annunzio”… Memento peneare semper! 💩💩💩🥰