Tra le emozioni negative, la rabbia è quella che più spesso ha come conseguenze effetti drammatici: basta ascoltare i notiziari che quotidianamente parlano di vittime di violenza.
Ma parlare di rabbia, è corretto?
Come un’altra emozione negativa, l’ansia, utilizzata per indicare stati d’animo anche molto diversi tra loro, il termine “rabbia” è impreciso; tra l’altro la rabbia è una malattia infettiva, che solo per estensione ha preso ad essere usata per indicare un’irritazione esplosiva e incontrollata.
In questo articolo illustrerò il mio punto di vista che è mutuato dalla psicologia cognitiva, che distingue tra rabbia, aggressività ed ostilità, termine, questo ultimo, che deriva dal latino “hostis”, nemico; ed un nemico di solito lo si detesta.
La rabbia è uno stato d’animo indiscriminato, dato che si può essere rabbiosi senza l’esistenza di uno specifico bersaglio.
L’aggressività mette in primo piano il comportamento, e non i contenuti cognitivi che sembrano avere un ruolo essenziale nella genesi di questa emozione.
Cosi’ una persona può tendere, anche nelle semplici discussioni quotidiane, a voler convincere o sopraffare l’interlocutore con il tono della voce, lo sguardo e i gesti, senza per questo avversarlo con l’intensità emotiva che suscita un nemico.
Questo si osserva facilmente nel mondo animale: il leone aggredisce la gazzella non perché la odi o la detesti, ma perché ha fame!
Ma può accadere anche tra gli esseri umani: io stesso, che fino a una ventina di anni fa ero un tipo “fumantino”, maturando ho imparato a gestire molto meglio i problemi di ostilità: posso anche farmi una “scazzottata” dialettica ogni tanto, e poi invitare il mio avversario a bere insieme in osteria.
Una brillante rappresentazione di ciò la offrono alcune discipline sportive, tra cui la boxe: due pugili se le suonano di santa ragione, ma non si odiano, ed a fine match si abbracciano. Tra l’altro, se fossero ostili oltre che aggressivi, diventerebbero anche molto inefficaci.
E allora?
Da quanto detto si evince che il termine che meglio rivela la natura dell’emozione in gioco è quello di ostilità.
Come fare a gestirla meglio? A non “arrabbiarsi” per le più piccole cose?
Decisivo è riconoscere i contenuti cognitivi che ne sono alla base.
Si diventa ostili quando si ritiene che qualcuno abbia violato una legge: esiste un dovere (legge), esso viene violato (reato), si maledice il responsabile (condanna), e se possibile lo si punisce (pena).
Secondo Ellis (Reason and emotion in psychotherapy), l’idea che le persone siano “cattive” quando non agiscono come vorremmo, deriva dall’antica dottrina teologica del libero arbitrio, la quale presume che ciascuno abbia la libertà di agire “bene” o “male” secondo criteri assoluti decretati da Dio o dalla legge naturale, e che chi si serva del libero arbitrio per comportarsi male sia un peccatore.
In realtà, i risultati psicanalitici dell’ultimo secolo ed oltre, sembrano indicare che il libero arbitrio dell’uomo contemporaneo è sorprendentemente scarso, poiché spesso egli non è consapevole dei suoi più forti moventi e si trova nella condizione di compiere atti che non vorrebbe compiere e che lo fanno sentire in colpa.
In ultima analisi, aggiunge Ellis, quando qualcuno agisce in quello che a noi sembra un “porco modo” lo fa perché o è troppo stupido, ignorante o disturbato emotivamente.
Naturalmente, è legittimo preferire che gli altri si comportino come noi vorremmo, ed in caso contrario irritarsi e confliggere; ma diventare molto irritato non equivale ad essere ostile, operazione che richiede l’entrata in azione di quei contenuti cognitivi, del tipo: “Tu hai violato una legge..”, “Tu avevi il dovere di..”, “Tu vai condannato e punito..”.
Il percorso che posso consigliare a chi mi leggerà per non farsi sopraffare da questo tipo di emozione, comunque la si voglia chiamare, è allora il seguente:
Riconoscere che le nostre preferenze sul comportamento degli altri sono dei nostri desideri, non leggi inscritte nei codici.
Gli altri non hanno il dovere assoluto di rispettarle, né di conoscerle.
Non possiamo condannare gli altri quando agiscono (secondo noi) male perché spesso essi possono ignorare gli effetti che il loro comportamento avrà su noi, o essere troppo disturbati emotivamente per agire in modo diverso. O possono avere problemi di vario genere, che non conosciamo.
Riconoscere i pensieri ostili in presa diretta, metterli in discussione, sforzarsi di agire sotto la spinta di principi più flessibili, finchè essi saranno più capaci di guidare anche le nostre emozioni.
Più di 2.400 anni fa il grande filosofo ateniese Platone ha detto:
“Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla.
Sii gentile. Sempre”