Dato il mio interesse e curiosità per l’etologia, alcuni articoli del mio blog si sono già occupati di animali: ho scritto della leggenda dell’aquila, di quelle del calabrone, del pavone e del dodo.
Da ultimo, ho parlato della storia del bisonte, ed oggi voglio brevemente tratteggiare quella di un animale altrettanto possente: la pantera.
Nell’immaginario collettivo questo massiccio mammifero carnivoro tende ad identificarsi con il leopardo nero, ma in realtà il genere include il leopardo, il giaguaro ed il leopardo delle nevi.
Anche se ultimamente, almeno dalle mie parti, si sente parlare sovente di avvistamento di cinghiali, prima che la frequenza con cui si incontrassero tali esemplari selvatici divenisse cosi’ intensa anche a causa del fenomeno dell’abbondanza delle spazzature, ricordo che i titoli di cronaca locale di alcuni quotidiani riferivano soprattutto, a periodi alterni, dell’avvistamento di una pantera che girava indisturbata per la città.
Un’apparizione decisamente più suggestiva e carismatica di quella del cinghiale, ma anche più minacciosa, anche se poi, forse, specie se era notte o tarda sera, poteva trattarsi anche di un grosso cane o gatto; e questo fatto è curioso: è come se una parte di noi stessi, si aspettasse di incontrare una pantera.
Anche la letteratura porta le tracce di questa bestia evanescente, che si fa presentire ovunque senza lasciarsi catturare. In particolare Dante, nel De vulgari eloquentia, lo prende come esempio dell’italiano “perfetto”, che spande il suo profumo per le parlate regionali ma non si identifica con nessuna.
Il parallelismo si fonda su un’antica idea secondo cui la pantera avrebbe il potere d’irretire con il suo profumo tutti gli animali, per poi divorarli con comodità; ed in effetti sembrerebbe che il suo nome alluda proprio a questo fascino universale (παν, “pan” in greco significa “tutto”).
A partire da Dante, nel corso dei secoli, il significato di pantera come bestia sfuggente ha assorbito in sé concetti onnipresenti ed inafferrabili come la poesia, il male, Dio.
Anche la celebre pantera rosa viene in fondo da qui. Nasce infatti nei titoli di testa del film omonimo, diretto da Blake Edwards nei primi anni ’60, come personificazione di un diamante di grande valore, che scivola tra le dita di tutti i protagonisti. I titoli ebbero un successo tale da dare vita a un personaggio autonomo, indefinibile e irreale come la pantera dantesca, e dotato di una sofisticheria un po’ snob.
Peraltro la pantera sfugge anche alle maglie della classificazione linguistica. Nell’uso odierno infatti questa parola indica per antonomasia la pantera nera che però, scientificamente parlando, non esiste, mentre esistono diverse specie appartenenti al genere “panthera” (probabilmente ricollegabile alla parola “tigre” in sanscrito), di cui la più nota è il leopardo.
Insomma, parlare di “pantera nera” non ha poi gran senso, e curiosamente la storia della pantera si è intrecciata spesso a quella delle lotte contro il razzismo: il Black Panther Party era una storica organizzazione rivoluzionaria afroamericana degli Stati Uniti d’America che combatté per i diritti della comunità nera, mentre il primo supereroe nero salito agli onori della cronaca porta il nome di Black Panther.
La pantera non sarebbe più quindi una preda da inseguire, ma una cacciatrice forte e astuta. Non per nulla ha dato il nome anche alle volanti della polizia. Del resto quest’immagine è ben più in linea con le caratteristiche reali delle pantere (nere e non), che sono predatori micidiali, tra le cui principali astuzie c’è quella di nascondere parte delle prede uccise e di lavarsi poi con cura, per evitare che altri fiutino il sangue su di loro e, seguendo le loro tracce, finiscano per scoprire la dispensa segreta.