Il coaching è un metodo di sviluppo e formazione
A. fondato su una relazione creativa
B. basato sull’esplorazione la consapevolezza e la valorizzazione delle proprie potenzialità personali
C. finalizzato a cambiamenti concreti, ad un miglioramento della performance ed a raggiungere i propri obiettivi.
Questo è lo schema sintetizzato dalla scuola italiana di coaching umanistico:
Questo schema ha lo scopo di fungere da bussola all’interno di una relazione di coaching, mostrando al coach in quale punto si trova in ogni momento della conversazione.
Tutto parte dal focus, che è stabilito dal cliente. La persona che il coach si trova davanti, va vista come persona nella sua interezza, con la sua personalità, il suo contesto ecc. Bisogna focalizzarsi su di essa in quanto tale, e non come portatrice di un problema.
Primo compito del coach è comprendere chi è la persona che ha davanti, e dove si colloca il problema che sta ponendo:esso si situa nell’ambito della sua competence? Nell’ambito della sua capacità e bisogno di scelta? Nel campo delle relazioni affettive?
Capire dove si colloca il problema non significa eludere quanto detto appena prima: se anche si scoprisse che il cliente ha un problema sul lavoro (sfera della competence) è comunque fondamentale sapere come è la sua rete relazionale, come vive la sfera affettiva, quale è la sua autonomia, sempre in virtù di un approccio focalizzato alla persona.
La relazione di coaching si sviluppa attraverso le cosiddette tre A:
Accogliere, che significa fare spazio, rendere l’altro protagonista;
Ascoltare, che significa partecipare empaticamente a ciò che viene raccontato, senza interpretare e senza pregiudizi;
Allearsi, che significa aderire all’impresa proposta dal cliente: un’ottima alleanza è la risultante del soddisfacimento dei precedenti due punti, accoglienza ed ascolto empatico.
Le tre aree coinvolte dalla relazione saranno dunque relative a quella dell‘autonomia e dell’autorealizzazione (rapporto con se stessi), della relazionalità (rapporto con gli altri) e della competence (capacità di fare e competenze).
Rispetto al problema individuato, detto anche funzione “Alfa“, nella relazione si prova a fare emergere la funzione “Omega” ossia il desiderato da parte del cliente.
Esso non va visto basandosi troppo sulle sensazioni (approccio tipico di questa società caratterizzata, secondo Luca Stanchieri, da una progressiva regressione al “sentire“, in cui spesso impropriamente si dice “non me la sento“, “ho l’ansia” ecc.), bensi’ sul pensiero, sulla chiarezza degli obiettivi e sui risultati che si riescono ad ottenere.
La funzione Omega non è la semplice soluzione tecnica del problema, anche chi è grasso ad esempio può andare dal dietologo ma magari i motivi che lo spingono a mangiare in eccesso rimangono.
Nella relazione di coaching si cerca di delineare una visione più ampia, la materializzazione di qualcosa che si desidera e che potrà mettere in moto le risorse della persona: questa visione è il faro che illumina, ed il coach è il ponte tra situazione attuale, e desiderata.
Ad esempio se un coach lavora con uno studente pauroso di dare l’esame, non potrà limitarsi alla preparazione tecnica, perchè la paura di essere bocciato, che gli altri lo guardino ecc., potrebbero rimanere: andrà invece a dare un senso più ampio all’esame in sè, condividendo la riflessione che esso non viene fatto per il professore ma per se stesso, e che è un’opportunità per imparare cose nuove.
Nel dialogo di coaching si cerca di vedere il problema, ma soprattutto il desiderio che si mobilita per superarlo e che funge da leva per ottenere il cambiamento desiderato.
Come detto, nel coaching non si lavora sull’autostima, ma sull’autoefficacia che può essere rinforzata facendo focalizzare le persone su quando in passato sono riuscite, e facendogli contestualizzare in modo diverso certe esperienze di riferimento.
Rafforzare l’autoefficacia, nel metodo del coaching umanistico, passa attraverso l’esplorazione e la valorizzazione delle potenzialità personali.
L’approccio messo in atto è che la sofferenza del momento dipenda dalla repressione di un tratto caratteriale sviluppato nella persona (potenzialità appunto) ostacolata dall’ambiente: se ad esempio ci si trova in crisi in ambito lavorativo a causa della poca meritocrazia, il problema è che la voglia di eccellenza dell’individuo sta trovando degli ostacoli.
Per questo motivo, non si parla di disagio, quanto di potenzialità in sofferenza.
Per mezzo dell’accoglienza e dell’ascolto empatico, dove si restituisce al cliente soltanto dopo avere davvero compreso il suo punto di vista, e di un approccio mirato a scovare non il difetto di personalità ma la potenzialità in sofferenza, è possibile che la persona, dalla nuova posizione in cui vede la situazione sia in grado di definire un piano di azione, da mettere in pratica già dopo la fine della sessione.
E questo è il passo successivo della relazione di coaching, che cementifica ancor di più l’alleanza che sta nascendo.
Il piano di azione deve essere elaborato attingendo anche alle risorse esterne che la persona può trovare nel suo ambiente: alleati al di fuori della relazione di coaching, persone che possono sostenerlo, e se esistono, anche persone che possono ostacolarlo. In tal caso si stabilirà insieme una politica di superamento degli ostacoli individuati.
Il passo conclusivo consiste nel definire obiettivi concreti e sfidanti da delineare insieme, seguiti da un report finale dove si ricapitola quanto stabilito, per concordare infine un ulteriore appuntamento dove analizzare i risultati conseguiti.