Alzi la mano chi, arrivato agli ‘’anta’’, non vorrebbe tornare ad avere 20 anni, anzi 19!
Io non la alzerei, e non solo per potermi nutrire ancora della freschezza dei sogni d’un tempo, ma anche per poter essere uno dei maturandi dell’ultima sfornata, che hanno scritto sull’ ”Elogio dell’attesa nell’era di Whatsapp”.
Che meraviglia!
La traccia trae spunto da un articolo pubblicato dallo scrittore Marco Belpoliti nel 2018, in cui si disquisiva su come la rivoluzione digitale ci abbia reso sempre più veloci nel realizzare i nostri desideri ed impazienti nel voler tutto e subito.
Penso a me ed ai miei 20 anni: per comunicare a distanza esisteva la lettera, o al massimo il telefono di casa; si attendeva una risposta sbirciando nella buca postale, o l’attimo giusto per parlare a voce, ed in mezzo c’era tutto un tempo per riflettere su un’esperienza, per comprenderne i significati ed elaborare gli stati emotivi .
Un tempo ed uno spazio che oggi non esistono più, divorati da un quadrante di vetro e plastica.
Ma il buco nero in cui è stata inghiottita l’attesa, ai miei occhi non ha fatto altro che renderla immortale.
Io avrei iniziato il tema scrivendo:
‘’Dolce attesa, tu sei la mia compagna di sempre, sei il fuoco che mi sveglia al mattino e la cui scintilla arde sempre nella concretezza dell’assenza, e sei colei che se mi addormento molto stanco, con un soffio lieve mi spegne le luci”.
Mi sono infatuato di te ai tempi del liceo, grazie a un professore capace di raccontare la letteratura come una fiaba dentro cui danzano fate e lupi.
Rimasi fortemente colpito dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, uno dei tuoi più estatici amanti (e nato il mio stesso giorno..).
Un poeta di una grandezza maestosa.
Nel merletto erotico tra la musulmana Clorinda ed il cristiano Tancredi, il Tasso narra l’impossibilità dell’amore, il cui potere magico è dato dal fatto che appena sopraggiunge una possibilità di realizzarlo, subito arriva una impossibilità a negarlo, una negazione che lo comprime, e lo accende proprio perché lo comprime.
Poco dopo, mi sono scoperto più leopardiano del Leopardi e del suo Sabato del villaggio: per me, il vero Sabato del villaggio, è il Venerdì, il giorno dell’attesa dell’attesa.
L’attesa infatti non tradisce mai se stessa, mentre il Sabato promette qualcosa già sapendo che tal cosa verrà tradita.
Nel Venerdì del villaggio c’è quindi attesa allo stato puro, mentre all’orizzonte del Sabato si intravedono già le nubi della delusione.
In francese esistono due parole per esprimere il concetto di speranza:
‘’Espoir’’ ed ‘’Esperance’’.
L’espoir è il suo contenuto, nella poesia del Leopardi è l’avvento della Domenica.
L’esperance è invece la forza della speranza, il fatto che la donzella sarà felice.
Ma la forza della speranza non è il suo contenuto; la donzella rimarrà delusa, perché comunque andrà la festa, si rivelerà inferiore alle sue aspettative.
Questa delusione però è vitale, perché se non ci fosse non ci sarebbe dinamismo, se il desiderio venisse incarnato si spegnerebbe come un tizzo dimenticato dai guizzi della fiamma.
Il Tasso ed il Leopardi sono due poeti innamorati dell’esperance, del puro tendere del desiderio.
Le scienze psicologiche hanno dato contorni di realtà alla letteratura, evidenziando come la motivazione della ricerca rappresenti una motivazione psicologica in sé, e che appaghi di per sé, indipendentemente se l’oggetto che ne è alla base verrà realizzato.
L’eccitazione che il bambino prova sapendo che il giorno dopo non andrà a scuola, è diversa dal fatto che non andrà a scuola.
Io, in tutti quei campi dove non mi serve la perentorietà dell’azione, vivo fluttuando nell’esperance.
Quando attendo un giorno in più per aprire quella bottiglia speciale, o per mettere quell’abito che mi piace tantissimo e che non ho mai messo proprio perché mi piace così tanto, ed in contrasto con il ‘’carpe diem’’ e l’esortazione a godere oggi, perché domani potrei non esserci più.
Io godo di più aspettando, e probabilisticamente parlando, quasi mai si muore domani.
Per amore verso il puro tendere, rimando spesso incontri galanti, galleggiando in estenuanti limbi ed in un’indefinitezza che a volte sfibra chi la riceve, e genera allontanamenti che assorbo con lo spirito serafico di chi sa di esser sulla sponda della sua natura.
Vorrei un foglio protocollo tutto bianco adesso, per scrivere ancora, ma la campanella è suonata e la professoressa ha gridato già due volte ‘’Consegnate!’’ per cui posso soltanto concludere il mio tema con una frase di Jules Renard (che in fondo spiega perché oggi siamo quasi tutti insoddisfatti):
“Se vuoi costruire la casa della felicità, ricorda che la stanza più grande deve essere la sala d’attesa”
Sono anni che ti seguo e sicuramente questo è uno dei più bei pezzi che hai scritto. Da buon Cancro con Luna in Pesci sento fortemente risuonare in me il tuo elogio dell’ Attesa. Potrei aggiungere “L’ Attesa del Piacere è essa stessa il Piacere; oppure potrei solo aggiungere, tratto da”L’ Amore ai tempi del colera” , il mio romanzo preferito scritto non a caso da un Pesci “Capita che sfiori la vita di qualcuno, ti innamori e decidi che la cosa piu’ importante è toccarlo, viverlo, convivere le malinconie e le inquietudini, arrivare a riconoscersi nello sguardo dell’altro, sentire che non ne puoi piu’ fare a meno…e cosa importa se per avere tutto questo devi aspettare 53 anni, 7 mesi e 11 giorni notti comprese?”. L’ attesa è fonte vitale, attiva infatti intuizione, contemplazione, creatività, ispirazione. Grazie di cuore per questo contenuto di valore! Restoin…attesa… del prossimo articolo!