In queste poche righe strutturerò la mia teoria sul merito, e per farlo comincerò a parlare di uno dei miei sport preferiti: il tennis.
Nel momento in cui scrivo, il 1° tennista italiano al mondo è l’altoatesino Yannick Sinner, che è anche numero 17 del ranking ATP.
Un atleta come Sinner, al pari di atleti di altre discipline o di chi raggiunge risultati eccellenti in altri campi della vita, sembra realizzare pienamente l’equazione con cui la nostra società traduce il merito:
Merito = Talento + Impegno
Quanto funziona questa formula, nella realtà empirica della vita?
Provocatoriamente, mi viene da domandarmi: se Sinner fosse nato nel Burundi, o in Pakistan, sarebbe diventato il campione che è?
La domanda è provocatoria, ma fino a un certo punto: la mia teoria è che in ambito sportivo, artistico, professionale, ecc. talento ed impegno contino moltissimo, come contano però altri innumerevoli fattori.
Tra questi, la famiglia ed il paese di origine, il contesto sociale e la fase economica in cui ciascuno vive gli anni della maturità professionale, gli incontri personali e professionali ed infine la benedizione della Dea Fortuna.
Molte persone di ‘’successo’’, gonfiando l’ego di superbia ne rinnegano i servigi, eppure a molti di noi sarà capitato di constatare come un incontro, od altre casualità, siano state in grado di indirizzare non solo una carriera, ma una vita intera.
Nel suo libro Success and Luck (2016), l’economista americano Robert Frank ricostruisce le coincidenze che hanno portato Bill Gates, il fondatore di Microsoft, alla sua fortuna stellare.
La fortuna ha avuto un ruolo essenziale nel fornire le circostanze in cui le sue capacità si sono tradotte in successi.
Questo avviene soprattutto quando si ha a che fare con un trionfo enorme in un contesto competitivo.
Senza dubbio ci sono altri programmatori competenti quanto Bill Gates che, nonostante tutto, non sono riusciti a diventare la persona più ricca del pianeta.
Così come ci sono tantissimi ragazzi straordinari a giocare a tennis, che non diventeranno mai il numero 17 del ranking mondiale.
Tutto questo non nega la diligenza e il talento delle persone affermate, ma dimostra che il legame tra merito e risultato è più debole di quanto si creda.
Nel già citato testo ‘’La tirannia del merito’’, il filosofo americano Michael Sandel illustra come ancora oggi, più di due terzi degli studenti delle università americane più prestigiose provenga dal 20% più ricco della popolazione.
Come è chiaro a tutti, nascere in un Paese ricco, o in una famiglia benestante non può essere merito proprio.
Ed avere talento e sapersi impegnare?
Il talento, come sappiamo, è molto legato alla predisposizione genetica, per cui è difficile pensare che se vengo al mondo con un’abilità particolare a giocare a calcio o a disegnare, sia merito mio.
E chi senza un particolare talento, raggiunge risultati straordinari grazie ad un impegno fuori dal comune?
Le neuroscienze non hanno ancora dimostrato che la perseveranza, la determinazione, la capacità di darsi degli obiettivi e di perseguirli con costanza, tutti elementi che facciamo ricadere nella categoria dell’“impegno”, rappresentino funzioni che non abbiano basi ereditarie.
Questo significa che chi si impegna ed ottiene risultati deve essere apprezzato e riconosciuto, ma che la sua capacità di impegnarsi derivi anche da fattori fuori del suo controllo.
Concludo la trattazione della teoria del merito, con una ricerca svolta sempre da Frank, il quale ha dimostrato empiricamente che le persone che sono in grado di valorizzare fattori esogeni, alla base del loro successo, come fortuna o aiuto degli altri, sono molto più inclini ad aiutare il prossimo in difficoltà od a compiere iniziative di beneficienza, rispetto a coloro che credono dogmaticamente all’impegno e alle capacità.
Poiché ritengo che non possa esistere vero successo senza condivisione, sono lieto di aver scoperto che il merito rigidamente inteso alimenti l’egoismo e la discriminazione, mentre un’idea che abbraccia anche la fortuna nutre apertura di cuore e gratitudine.