“Tu si che hai fatto la scelta giusta.”
O ancora: ‘’Potessi tornare indietro, farei come te!’’.
Me lo sento dire spesso, con un misto di ammirazione e rimpianto, da parte di chi esprime apprezzamento per la mia attuale condizione di uomo senza vincoli.
Eppure, e in questo consiste il primo paradosso, la frase arriva sempre da persone sposate.
In questo modo, mischiati ai miei sorrisi di circostanza, nella mia testa fa inevitabilmente capolino una domanda che, per discrezione, rimane inespressa: ‘’Perché tu che mi stai mostrando apprezzamento, non hai fatto la stessa scelta?”
Perché – mi domando ancora – hai scelto la compagnia e la condivisione della vita di coppia, e ammiri chi ha agito al contrario?
Come esseri sociali, siamo naturalmente portati a stringere legami affettivi stabili e duraturi. Senza di essi ci perderemmo una delle cose più belle che la vita ha da offrirci: l’intimità speciale e privilegiata con un altro essere umano.
Tale attitudine è alla base della nostra stessa sopravvivenza: se nessuno stringesse più legami affettivi, la specie umana si estinguerebbe.
Sotto una prospettiva individuale invece, questa scelta anti-evoluzionistica può rappresentare una forma di libertà estrema. Chi è solo viene visto come padrone della propria vita, libero da compromessi e rinunce.
Nessun litigio per il telecomando, nessuna responsabilità verso un’altra persona, nessuna routine forzata.
Eppure, dietro l’ammirazione di chi dice “Hai fatto la scelta migliore”, può nascondersi una realtà più complessa. Forse chi lo afferma non sta parlando del suo interlocutore, ma di sé stesso. E, in quel momento, sta proiettando un proprio desiderio inespresso, il pensiero di una libertà perduta o mai davvero avuta.
Poco sopra, ho scritto che sotto una prospettiva individuale, la solitudine può rappresentare una forma di ‘’libertà estrema’’.
Ma è veramente così? Essere soli, significa necessariamente essere più liberi?
Me lo sono chiesto spesso, e spinto da questa domanda ho finito per addentrarmi nel terreno della solitudine come necessità o scelta.
Si può esser soli anche perché non si è capaci di fare altro, si percepisce nell’altro una trappola, una minaccia, da cui conviene slegarsi il prima possibile. Molte persone che sono abituate a lasciare il partner, apparendo all’esterno degli accaniti libertini, spesso lasciano per non essere lasciati, e non sperimentare la sofferenza dell’abbandono.
Chi agisce così non può essere considerato libero.
Diverso è se la libertà è una scelta: si sceglie, fondamentalmente, di rimanere soli. Perché, pur percependo un’assenza, che non può non pesare, specie in certi momenti della vita, prevale la leggerezza del sentirsi completamente artefice e padrone di ogni giorno e di ogni propria scelta.
Personalmente, ho oscillato tra convinzioni ed emozioni a volte contrastanti. In talune occasioni ho percepito che il mio desiderio di libertà era soprattutto un riflesso di ataviche paure abbandoniche. I
In altri momenti, più avanti nel mio sviluppo di essere umano, ho avvertito invece questo desiderio come un atto libero e spontaneo di auto-determinazione.
Con il trascorrere degli anni, sono arrivato a una conciliazione tra le due prospettive, arrivando a concludere che probabilmente non esistono scelte ‘’pure’’ e incondizionate al 100%.
Chi si sente attratto dalla libertà e dall’assenza di vincoli, in parte è condizionato anche dalla paura di avvicinarsi troppo a un’altra persona, e dal rischio potenziale di essere ferito.
Così come chi agisce in modo opposto, magari sposandosi e costruendo una famiglia con la prima persona che incontra, è in parte condizionato dalla paura di rimanere solo.
La solitudine infatti, anche quando ha la leggerezza e il profumo di una rosa, ha pur sempre le sue spine.
Richiede forza d’animo, coraggio, l’abitudine a portare ogni peso della vita soltanto sulle proprie spalle. E non è una sfida da poco: sappiamo tutti quanto, condividere ogni tanto questi pesi, possa alleggerirli.
Quando questo peso diventa schiacciante, la solitudine non è la strada giusta.
Se è invece la compagnia a diventare un vincolo troppo soffocante, allora può esserlo.
D’altronde, un noto esistenzialista osservava che le scelte in ambito relazionale sono spesso dettate da due paure opposte: quella della solitudine e quella dell’oppressione. Esse si scontrano in una dialettica animata dalla tensione tra il bisogno di appartenere a qualcosa e il timore di sacrificare la propria individualità.
Forse, allora, la vera domanda non è se sia meglio stare soli o in coppia, ma quale paura siamo disposti ad affrontare.
E ciò che invidiamo negli altri può essere solo il riflesso di un conflitto non pienamente risolto dentro di noi.