In questo articolo voglio scardinare il luogo comune secondo cui diverse relazioni si fondano sul proposito di alleviare la propria solitudine, e che la presenza dell’altro possa essere la medicina adatta per mitigare il disagio che nasce a volte dal sentirsi soli.
Non voglio negare che alcune persone si avvicinino ad altre proprio per questa intrinseca tendenza; semplicemente voglio intendere che una relazione che nasce su queste basi è destinata nella maggior parte dei casi a naufragare miseramente.
Diceva Anton Cechov:
‘’Se avete paura della solitudine, non sposatevi’’.
Questo detto apparentemente paradossale, nasconde una profonda verità: le relazioni autentiche richiedono la capacità di stare soli, non come forma di isolamento, ma come espressione di una maturità interiore.
In un mondo frenetico e iperconnesso, la solitudine è spesso vista come una condizione da evitare a ogni costo, una minaccia al proprio benessere.
La radicata diffusione e penetrazione nel nostro quotidiano di strumenti come le applicazioni di messaggistica istantanea hanno alimentato il mito della perenne reperibilità, e un partner che non sempre lo è, vuoi per motivi ideologici o più semplicemente contingenti, può venire percepito come distaccato o peggio ancora poco trasparente.
Tutto questo secondo me, ha peggiorato in modo inimmaginabile la qualità delle nostre relazioni, trasformandole in una sorta di fast food emotivo dove la gratificazione di una risposta deve essere istantanea, e dove si è persa la bellezza dell’attesa e dell’elaborazione del sentimento.
Stare in una relazione invece significa accettare l’indipendenza dell’altro e la sua eventuale assenza. L’idea che l’altro debba essere sempre presente, fisicamente o emotivamente, è un’illusione che porta solo alla frustrazione ed al conflitto interiore.
Uno degli esempi più celebri è quello di Anna Karenina di Tolstoj, una donna che cerca disperatamente di colmare il vuoto interiore attraverso la presenza costante dell’altro, il cui bisogno di fusione con l’amante Vronskij finirà per condurla alla distruzione
Una relazione matura non deve richiedere continui sacrifici di presenza, ma la capacità di rispettare i momenti di assenza, ed in questo sta la maturità della persona, nel percepire l’altro non come un orpello con cui appagare un proprio bisogno, ma come un essere indipendente e libero.
L’assenza non è nemica dell’amore, e non è sinonimo di disinteresse o di abbandono; anzi, è proprio in quei momenti di distanza che possiamo ritrovare noi stessi e dare spazio all’altro per fare lo stesso.
In un certo senso, amare significa avere il coraggio di lasciare andare, di non soffocare l’altro con la nostra presenza.
La grande scrittrice e saggista inglese Virginia Woolf, afflitta da gravi crisi depressive, aveva bisogno di lunghi momenti di solitudine per ritrovare un equilibrio interiore, e suo marito Leonard sapeva accettare queste assenze come parte del loro amore, consapevole che esse non significavano che la loro relazione fosse meno profonda, anzi, proprio questa accettazione della solitudine permise loro di costruire un legame duraturo e sincero.
Imparare a vivere nella solitudine ci offre la libertà di amare senza possesso. Come sosteneva Rainer Maria Rilke nelle sue “Lettere a un giovane poeta”, l’amore autentico è quello che permette a due esseri di rimanere “guardiani della solitudine” dell’altro, riconoscendo che l’amore non è una fusione totale, ma un incontro tra due individui completi e autonomi. Rilke ci invita a considerare l’amore non come un rifugio dalla solitudine, ma come un dono che possiamo offrire all’altro solo dopo aver accettato di stare bene da soli.
In una società in cui siamo costantemente stimolati e intrattenuti, trovare tempo per la solitudine può sembrare una sfida. Tuttavia, è anche grazie a questi momenti di assenza che possiamo apprezzare la presenza dell’altro, come avvenne ad esempio nella tumultuosa relazione personale e artistica di Frida Kahlo e Diego Rivera, caratterizzata da lunghe separazioni e riconciliazioni.
Nonostante i loro continui allontanamenti, entrambi riuscivano a nutrire una profonda connessione, in cui la loro arte e il loro amore si alimentavano a vicenda, ma nessuno dei due cercava di annullarsi nell’altro.
In definitiva, solo chi sa accogliere l’assenza non come mancanza può costruire relazioni sane, e probabilmente, chi ha timore di restare solo – proprio perché ha questa paura – dovrebbe rimanere solo.