Se c’è un tratto di personalità che sto forgiando in questo periodo di vita più matura, è quello che potrei definire come tecnofobia: un fastidio verso le forme di comunicazione come chat, social e compagnia bella.
So di apparire nostalgico e conservatore, oltre che vittima di un’utopia distonica, giacchè nessuno può frenare il progresso, ed io stesso quotidianamente maneggio, per necessità o diletto, i suoi feticci.
Vorrei però condividere una riflessione: la rivoluzione digitale, quella degli ultimi 30 anni per intenderci, ha mantenuto solo in parte le entusiastiche promesse con cui aveva preso impulso.
Quali sono due bugie della rivoluzione tecnologica?
Secondo me sono queste: che la tecnologia avrebbe reso l’essere umano più intelligente, e più libero.
Essa avrebbe dovuto favorire le pari opportunità e la cancellazione delle diseguaglianze sociali, visto che con internet finalmente istruzione e formazione sono diventate appannaggio di tutti, e non solo di chi poteva permettersi costosi libri di testo o pomeriggi in biblioteca.
Ma, con il tutto a portata di tutti, anche pornografia e gioco d’azzardo sono diventati accessibili alla massa di persone, generando vere e proprie dipendenze che magari non si sarebbero create senza tale condizione di abbondanza.
Il web moderno, almeno come sguardo d’insieme sui suoi contenuti, sembra essere un discount di prodotti di basso livello intellettuale (alcuni peraltro molto in voga), popolato da consumatori che ne rispecchiano le qualità.
Secondo me, l’essere umano è diventato mediamente meno attento, arguto ed analitico, e più vuoto e superficiale.
Questa è una grande occasione fallita dalla tecnologia, che anzichè elevarci grazie al livellamento delle diseguaglianze, ci ha fatto livellare verso il basso,
La tecnologia poi doveva renderci persone più libere, soprattutto di quella preziosa risorsa chiamata ‘’tempo”, e questo sin dai suoi albori: dal riscaldamento grazie al quale non fu più necessario ardere la legna al fuoco, alla lavatrice che permette di risparmiare tempo senza dover lavare i panni a mano.
Venendo ai tempi più recenti, penso al totem ‘’cellulare’’: iniziò a diffondersi quando stavo prestando il servizio di leva, erano i primi mesi del 1995, e la comodità di poter telefonare alla famiglia senza dover fare le lunghe file alla cabina della caserma munito di scheda telefonica, era entusiasmante.
Oggi, grazie a questo oggetto, possiamo fare di tutto: prenotare una vacanza, un biglietto aereo o fare una disposizione bancaria.
Di tempo, quindi, ne risparmiamo tanto, e la tecnologia sembrerebbe avere assolto ai motivi per cui è nata, finchè non ci domandiamo: Ma, siamo veramente più liberi?
Osservate l’immagine tratta da un bellissimo quadro dell’artista contemporaneo Mark Kostabi: cosa vi evoca?
La tecnologia ci ha fatti tanti schiavi, un esercito di persone che non la utilizzano più, come era all’inizio, ma la consumano con frenesia, anche perchè devono sostenere il marketing che c’è dietro.
Provo tristezza a vedere gruppi di adolescenti, o bagnanti in spiaggia con gli occhi perennemente incollati ai loro telefonini, e provo tristezza ed anche rifiuto all’idea che la massificata ed insulsa messaggistica istantanea abbia fatto si che più o meno tutti siamo diventati soggetti all’obbligo della reperibilità, come se fossimo piloti o chirurghi.
Riporto questo piccolo brano, tratto dalla biografia di Mozart: qui, aveva ancora pochi anni.
“Mozart padre tornava un giorno dalla chiesa in compagnia di un amico; a casa trovò suo figlio impegnato a scrivere musica. “Che stai facendo, figliolo?”, gli chiese. “Compongo un concerto per clavicembalo. Ho quasi finito il primo tempo.” “Vediamo un po’ questo scarabocchio.” “No, vi prego; non ho ancora finito…”
Con un po’ di malinconia, mi domando: Mozart sarebbe diventato Mozart, con facebook, whatsapp e la connessione wi-fi, ed il centro commerciale sotto casa?
Ai posteri, anzi agli avi, l’ardua sentenza.