Esistono espressioni nella nostra lingua, come “pecora nera”, “mosca bianca”, “pesce fuor d’acqua” ecc., atte ad indicare il concetto di diversità.
In questo articolo voglio parlare della pecora nera, un’allegoria che ha permeato tratti del mio primo sviluppo, in quanto spesso a suo tempo, mi sono sentito un “diverso”’: l’unico ad avere scelto studi classici ed interessi umanistici, e che si è distaccato completamente dalla strada professionale di famiglia.
La mia personalità ne è stata plasmata con una accresciuta sensibilità, ricettività e voglia di esplorazione che spesso non sono state riconosciute perché lontane dal pragmatismo estremo degli schemi familiari.
Questo articolo vuole infondere forza a tutte le “pecore nere” ed incitarle a non omologarsi ed a percorrere il sentiero delle proprie inclinazioni.
In uno suo racconto, Italo Calvino disegna un luogo immaginario fondato sulla legge della razzia, in cui ogni abitante, munito di lanterna e sacco, usciva a tarda notte e depredava la casa di un vicino. Nel paese però regnava la concordia, perché tutti derubavano tutti e non c’erano sperequazioni.
Un giorno l’equilibrio venne spezzato da un nuovo abitante, che invece di andare a rubare, di notte, rimaneva in casa a leggere romanzi ed a fumare una pipa. I ladri vedevano le luci e non salivano.
Fu cosi’ che alcuni abitanti cominciarono ad impoverirsi ed andarono a parlargli, spiegando che in tal modo rischiava di danneggiare tutti. L’uomo onesto comprese, e tutte le notti usci’ di casa ed andò al fiume, ma si rifiutò comunque di rubare; pochi giorni ed ebbe la casa interamente vuota.
Poiché si rifiutava di rubare, c’era sempre qualcuno che il giorno dopo trovava la casa intatta e che quindi iniziava ad accumulare di più. Chi invece andava a rubare in casa sua, la trovava vuota e dunque non poteva mangiare fino alla notte successiva quando avrebbe rubato altrove.
In questo modo, iniziarono ad esserci ricchi e poveri: chi si stava arricchendo divenne avido e decise di non voler più subire furti, senza però smettere di rubare per non impoverirsi, cosi’ cominciò a pagare chi era in deficit affinchè rubasse per lui. Vennero istituiti contratti e salari, carceri e poliziotti, il tutto per proteggere dalla perdita dei beni coloro che avevano accumulato.
I furti non cessarono ma le regole non erano più condivise: alcuni non “lavoravano” e pagavano altri perché rubassero, ma i ricchi non potevano essere derubati, e chi trasgrediva veniva arrestato.
L’uomo onesto, invece, mori’ di fame.
Ecco spiegato, nella magia di un racconto, il valore di una pecora nera, che spezza l’equilibrio e segna la transizione di un sistema, concorde ma pur sempre fondato su un enorme paradosso, verso il progresso.
Perciò, pecore nere di tutto il mondo, uniamoci!
E facciamolo al ritmo delle meravigliose parole di Bert Hellinger, secondo il quale le pecore nere sono in realtà ricercatori nati da vie di liberazione per l’albero genealogico: è il caso dell’artista nella famiglia di ragionieri, o dell’ateo in quella di credenti, la figura che creando un nuovo ramo dà linfa vitale all’albero impedendogli di incancrenirsi su elementi come quello del materialista o del fanatico religioso.
“Le cosiddette pecore nere della famiglia sono in realtà…quelli che sin da piccoli cercavano di rivoluzionare le credenze andando contro ai cammini marcati dalle tradizioni familiari, quelli criticati, giudicati…quelli che, in generale, sono chiamati a liberare l’albero da quelle storie ripetitive che frustrano generazioni intere.
Le “pecore nere”, quelli che non si adattano, quelli che gridano ribellione, riparano, disintossicano e creano un nuovo e fiorito ramo..
Che nessuno ti faccia dubitare, prenditi cura della tua rarità come il fiore più prezioso del tuo albero.
Sei il sogno realizzato di tutti i tuoi antenati”.