Una trappola della mente umana, con cui ho personalmente avuto a che fare soprattutto ai tempi del liceo, e in momenti seguenti, prima dello sviluppo e dell’irrobustimento di certe qualità caratteriali, è la procrastinazione.
E’ una trappola subdola, perché dietro l’apparente semplicità del “lo farò domani” si nasconde un complesso meccanismo psicologico, che non solo allontana dai propri obiettivi, ma erode anche il senso di gratificazione personale, trasformando pian piano l’esistenza in un campo di battaglia tra le aspirazioni e l’indolenza.
La procrastinazione non è soltanto un’abitudine: è una forma di auto-sabotaggio, che ha uno dei suoi possibili moventi, in quello spazio temporale che separa l’impegno dal premio.
La natura del problema risiede nella differenza tra gratificazione immediata e gratificazione a lungo termine.
L’essere umano è naturalmente attratto da ciò che produce un piacere immediato: una distrazione digitale, una pausa extra, una piccola fuga dalla realtà. Questi momenti sembrano offrire sollievo nell’immediato, ma non producono alcun avanzamento verso le mete a lungo termine. Al contrario, i compiti che richiedono disciplina e sforzo presentano spesso una ricompensa lontana, invisibile nel momento in cui ci si siede per iniziare a lavorare.
Ad esempio, una persona che decide di mettersi a dieta per migliorare il proprio aspetto fisico dovrà affrontare un impegno immediato: rinunciare ai cibi calorici, seguire una routine alimentare più rigida, allenarsi regolarmente. Tuttavia, il premio – ossia un aspetto fisico migliorato e una maggiore autostima – non sarà visibile né oggi né domani, ma richiederà tempo per manifestarsi. È proprio questa distanza temporale a renderlo meno motivante, spingendo la persona a rimandare con la classica scusa: “Ma sì, inizio domani!”
Lo stesso meccanismo si verifica in una relazione insoddisfacente. La persona sa di dover affrontare, nell’immediato, il dolore emotivo legato alla separazione: il senso di mancanza, la solitudine, il disorientamento. Tuttavia, i benefici futuri – come la libertà emotiva e la possibilità di costruire una relazione più appagante – saranno percepibili solo a distanza di tempo. Questo divario temporale spesso la scoraggia, portandola a perpetuare una relazione che, pur continuando a non soddisfarla, sembra meno faticosa rispetto alla sofferenza immediata di una rottura.
La distanza tra impegno, e premio, è come se rendesse la nostra mente miope, incapace di vedere lontano, e questo divario è cruciale: il cervello fatica a trovare motivazione quando non può percepire una connessione diretta tra l’azione e il suo beneficio.
Il risultato di questo processo è un accumulo di insoddisfazione. Ogni volta che procrastiniamo, la consapevolezza di ciò che stiamo rimandando cresce in noi come un’ombra: il tempo perso diventa una zavorra mentale, un rimprovero costante che ci fa sentire incapaci di agire. Questo ciclo di inerzia e senso di colpa alimenta l’insoddisfazione, minando la propria fiducia e creando una spirale negativa difficile da spezzare.
Concludo l’articolo con un breve saggio scritto da Brianna Wiest, autrice e poetessa americana, e tratto dal blog Efficacemente.
Questo saggio parla in maniera breve, ma molto acuta, proprio dello spazio che intercorre tra ideazione e azione.
“Le persone tendono a rimandare l’azione anche quando sanno esattamente cosa devono fare – e lo spazio tra il sapere e il fare è il terreno in cui la sofferenza germoglia.
Non sapere cosa dobbiamo fare o non sapere chi siamo (e qual è la nostra strada), non sono quasi mai il vero problema.
Il nostro ostacolo più grande è la battaglia interiore tra ciò che è giusto e ciò che è facile, tra ciò che è benefico nel lungo termine e ciò che è piacevole nel breve termine.
Il nostro istinto ci parla, ci dice a gran voce quello che già sappiamo, ma noi decidiamo semplicemente di non ascoltarlo.
Questa è una delle cause più comuni del nostro disagio esistenziale: il divario tra ciò che sappiamo e ciò che facciamo.
Siamo culturalmente assuefatti alla procrastinazione e, al contempo, affascinati dall’evitamento.
Rimandando l’azione, siamo convinti che la realtà possa magicamente mutare, che i nostri problemi possano svanire sotto il tappeto dove li abbiamo nascosti, ma così facendo aggiugiamo solamente sofferenza alla nostra esistenza.
È come se avessimo bisogno di soffrire per agire, ma un giorno realizzeremo che tutta questa sofferenza è del tutto inutile.”