All’inizio del mese di Febbraio, come da tradizione, si è svolta la settantaquattresima edizione del Festival di Sanremo che, secondo i dati statistici, è stata una delle più seguite di sempre.
Premetto di non essere un estimatore accanito della kermesse musicale, tuttavia quanto accaduto la sera del 7 Febbraio mi ha colpito in maniera particolare, a tal punto da apparirmi come uno dei momenti di televisione più emozionanti a cui avessi mai assistito.
Ero a tavola con i miei genitori, stavamo terminando la nostra cena, e nella cucina di casa si è infiltrato un silenzio quasi irreale, come se in quei pochi minuti il tempo si fosse improvvisamente sospeso, arroccandosi dentro una nuvola fatta di stupita commozione.
Non avevo mai visto in vita mia, mio padre, persona solitamente austera, così colpito e quasi commosso.
Cosa è accaduto la sera del 7 Febbraio?
Sul palco di Sanremo è andato in onda il monologo del maestro Giovanni Allevi, tornato ad esibirsi in pubblico dopo due anni a causa di un mieloma.
L’artista ha raccontato il suo calvario, il dolore e la sofferenza, ma ha dato forza anche ad un messaggio di speranza; concluso il monologo, tutto il pubblico dell’Ariston si è alzato in piedi, ed è esploso in un torrente di applausi che sembrava non avere mai fine.
L’impatto emotivo del suo discorso è stato tale, che sono molte le pagine web su cui è possibile reperirne la trascrizione integrale.
Non starò dunque a fare la perifrasi del suo monologo, che ciascuno può leggere od ascoltare per conto proprio, quanto a riecheggiarne un preciso passo che mi ha particolarmente toccato.
E’ quando l’artista inizia a parlare degli inaspettati doni che la malattia gli aveva porto, insieme al carico di dolore e sofferenza.
Quando arrivò quella terribile diagnosi, il maestro Allevi in poco tempo avrebbe perso tutto: il lavoro, i capelli, le sue certezze, ritrovandosi a guardare il soffitto per un anno intero accompagnato dalla sensazione di avere 39° di febbre.
Poco prima di quella drammatica scoperta però, accade un episodio:
Il maestro, ancora in salute, durante un concerto in un teatro strapieno, nota una poltrona vuota.
Ma come?
Una poltrona vuota?
Il maestro prova disagio, fastidio, pur ricordandosi che quando era agli inizi, aveva fatto concerti davanti a 15 persone e si era sentito felicissimo.
Ed oggi, dopo la malattia, afflitto dalle fratture vertebrali e dal tremolio degli arti, nemmeno lui sa cosa darebbe per poter tornare a suonare davanti a 15 persone.
Che incredibile metafora!
Una delle più potenti che abbia mai ascoltato in vita mia, anche per il modo in cui è stata detta.
Questa metafora descrive, a mio modo di vedere, l’incessante dialettica tra l’Ego e il vero Sé.
L’ego desidera sempre di più, non si accontenta mai e non riesce a riconoscere il valore di ciò che ha.
E’ l’ego che ci spinge a desiderare sempre più, in una corsa forsennata verso il successo, la ricerca di conferme esterne, il bisogno di sentirsi grandi ed importanti che ci allontanano da ciò che siamo davvero.
La malattia, in questo caso, è l’evento che mette in discussione l’ego sgretolando il suo senso di onnipotenza, e che costringe chi la subisce a vedere le cose per come realmente sono.
Il maestro Allevi parlerà di diversi tesori giunti in dono dalla malattia, intesa come evento spartiacque nella vita di una persona, così come possono esserlo altri accadimenti traumatici e dolorosi.
Cosa mai può essere una poltrona vuota, in un teatro ricolmo di gente?
Paradossalmente, è come se il maestro che aveva successo fosse addormentato, e la sua coscienza si risvegliasse quando l’evento doloroso gli ha aperto gli occhi.
Io me le raffiguro proprio come due distinte rappresentazioni del mondo, che albergano in zone diverse del cervello, quella dell’ego, che vegeta in uno stato di semi incoscienza, e quella connessa allo stato di veglia ed alla naturalezza del sé.
Lascio il lettore con due semplici domande:
Quante volte ci agitiamo inutilmente per una poltrona vuota?
Perché attendere una malattia, o un altro evento doloroso, e non fare che sia OGGI il momento il cui ci risvegliamo, e vediamo le cose per quello che realmente sono?