Secondo recenti statistiche la paura di parlare in pubblico è una delle primissime tra quelle che affliggono la popolazione mondiale, e precederebbe addirittura la paura di morire.
Ne consegue, provocatoriamente, che ad un ipotetico funerale molti preferirebbero trovarsi nella parte del defunto che non in quella del conoscente che legge l’orazione funebre!
Secondo una statistica anglosassone invece, la paura di parlare in pubblico sarebbe seconda soltanto alla paura dei ragni.
Molte persone associano una situazione di public speaking ad emozioni negative, tipicamente paura e vergogna.
Nuclei importanti della propria persona e dell’immagine di sè sembrano essere coinvolti in tali situazioni e secondo la prospettiva cognitivo-comportamentale, diverse organizzazioni cognitive si attiverebbero attivando, a loro volta, correlati emotivi e comportamentali talvolta percepiti dal soggetto con un senso di pericolo e minaccia.
Tutto sembra partire dall’infanzia, da quando ci si è trovati in una situazione di esposizione ad un pubblico, magari perchè costretti, ed in una di quelle circostanze è possibile che si siano provate emozioni di disagio, imbarazzo e quindi di vergogna.
Potrebbe essere stato il momento in cui si è dovuta leggere la letterina di Natale davanti a tutti i parenti, mentre i genitori ci dicevano che non l’avremmo letta bene come il cuginetto Filippo, oppure potrebbe essere stato quando ad un’interrogazione abbiamo balbettato e con la coda dell’occhio vedevamo l’immancabile secchione che ci guardava con aria di superiorità.
Insomma, il condizionamento può essere avvenuto in tanti momenti e modi diversi, l’aspetto più interessante della faccenda secondo me non è tanto sapere a quando risale il condizionamento, ma cosa fare per sbarazzarsene.
Una delle più grandi trappole a cui conduce spesso la paura di parlare in pubblico è infatti quella dell’evitamento: poichè si teme di provare emozioni come quelle descritte, si evita di esporsi, trincerandosi dietro un calcolo edonico a breve termine dove, al sollievo iniziale di non essersi esposti, consegue inesorabilmente un fardello peggiore di disagi che la persona arreca a sè stessa: giudicarsi vigliacca, perpetuare la paura e non fare alcunchè per il proprio progresso personale.
Ma dove può portare un atteggiamento del genere? Tutti noi siamo necessariamente sottoposti a situazioni di public speaking, a partire da quando andiamo a scuola e siamo interrogati oppure in mezzo agli amici raccontiamo una barzelletta.
Nel mondo più competitivo di oggi, certe capacità sono richieste non solo ad un avvocato o ad uno speaker, ma anche ad un semplice impiegato spesso alle prese con riunioni e corsi di formazione.
Le strategie evitanti sono dunque, sempre e comunque da bandire, ed è di gran lunga preferibile l’atteggiamento opposto: esporsi, affrontare le situazioni, a costo di sbagliare. Nessuno sbaglio, infatti, può essere più pervasivo rispetto a quello dato da un atteggiamento evitante.
Anche se la paura di parlare in pubblico è diffusa e radicata, la formazione è in grado di offrire diversi strumenti interessanti di public speaking che possono aiutare a comunicare meglio in pubblico, ed a ridurre le sensazioni di allarme.
Personalmente ho partecipato a diversi corsi di public speaking, il primo a Brescia nell’Ottobre del 2005: un corso molto istruttivo, tre giorni intensivi con tanto di videoriprese e valutazione della performance con il trainer e tutti i corsisti.
Più tardi, nel 2010 io stesso insieme al collega Luigi Miano ho condotto in veste di trainer un corso della stessa durata ed impostato più o meno con le stesse caratteristiche.
Nel mezzo, ho seguito altri due corsi in materia, da allievo, uno base ed uno avanzato, entrambi condotti da Max Formisano.
Tramite queste esperienze, ho imparato a rappresentarmi le situazioni di public speaking, specie quelle più impegnative come un intervento di una certa durata, secondo uno schema che riprende sostanzialmente quello appreso durante il mio primo corso a Brescia e ben riportato dal trainer del corso, Luca Baiguini nel suo libro “Il pubblico nelle tue mani“.
Secondo l’autore il public speaking può essere considerato alla stregua di una qualsiasi abilità, ad esempio guidare un’auto: come è del tutto naturale sentirsi impacciati quando si sta imparando a guidare, cosi’ lo è sentirsi a disagio quando si parla in pubblico le prime volte, o quando non si allena sufficientemente questa abilità.
Il processo di apprendimento del public speaking è assimilabile a quello di una qualsiasi altra abilità: la prima fase del processo è l’incompetenza inconsapevole, quando non si è competenti in qualcosa e se ne ignorano i fondamenti dell’uso. Tornando all’automobile, un aborigeno non solo non la sa guidare, ma nemmeno sa che esiste.
Il secondo step è l‘incompetenza consapevole: non si è in grado di guidare, ma almeno si conosce l’esistenza dell’automobile.
Il terzo step è la competenza consapevole: è la condizione del principiante, di colui che ha imparato a guidare l’auto ma che per riuscirci deve rimanere costantemente concentrato sul processo.
Lo step finale coincide con l’acquisizione vera e propria dell’abilità e lo scopo ultimo del processo di apprendimento: è la competenza inconsapevole, quella che tutti più o meno abbiamo maturato rispetto alla guida dell’auto. E’ l’automatismo che non richiede più particolare concentrazione.
Rapportato al public speaking, è lo stadio del grande oratore che sa anche improvvisare ed andare “a braccio”, completamente padrone del processo.