In questo articolo, riprendendo uno scritto di alcuni mesi fa, voglio parlare ancora di una delle professioni più nobili e nello stesso tempo sottovalutate: la professione del venditore.
Diverse volte, nel mondo della formazione, si ode questo quesito:
Venditori si nasce o si diventa?
Secondo me, la capacità di ‘’vendere’’ è innata in ogni essere umano (così come quella di assumere molti altri tratti e ruoli sociali).
Approcciando una prima, rudimentale definizione di vendita, come attitudine a fare qualcosa per ottenere qualcos’altro, è evidente come da bambini, piangendo, vendiamo il nostro bisogno di accudimento, così come da adolescenti vendiamo la nostra preparazione al professore per essere promossi.
Questa capacità intrinseca dell’essere umano, spesso viene però inibita nel corso dello sviluppo di vita.
La società e le sue varie fonti di indottrinamento, ci insegnano che dobbiamo farci gli affari nostri, che ognuno deve stare al suo posto.
E le doti di curiosità ed apertura al mondo degli altri che fungono da pilastri dell’abito mentale del venditore, vengono strozzate da qualcosa che ne ostacola il libero fluire, sicché la mia risposta esaustiva al quesito è la seguente:
Tutti nasciamo venditori, ma alcuni di noi devono ri-diventarlo
Con questo punto di vista, cerco di esortare quei collaboratori che nutrono ancora delle resistenze verso un approccio più proattivo alla clientela, rammentandogli che le attitudini che gli occorrono sono nelle loro corde, ed attendono soltanto di essere liberate dalle catene delle convinzioni limitanti e delle abitudini negative.
In questo articolo, voglio esplicitare meglio perché considero la vendita una professione nobile, e come cerco di veicolare il mio punto di vista.
Mi piace pensare che per avere successo nella vendita, un professionista debba possedere ed allenare, quelle potenzialità di sé che lo porterebbero ad essere anche un buono psicologo, avvocato, diplomatico, attore ed esploratore.
Vista in questo modo, la vendita assurge ad un’arte nobile, che risiede in virtù le quali plasmano un mestiere che va oltre l’atto di vendere.
Allargando l’accezione della parola ”vendita”, e definendola come la capacità di sollecitare l’acquirente che è in ogni persona, per farne emergere le motivazioni di acquisto, ne consegue che il consulente debba essere in grado di orientarsi nel sistema rappresentazionale del suo interlocutore, elicitandone stati d’animo, valori (ossia priorità di vita), convinzioni e processi decisionali.
E deve possedere le indispensabili capacità di ascolto e di creare rapporti sintonici; come ripeto spesso, il buon venditore parla solo per il 20% del tempo, mentre per il restante 80% ascolta.
Un buon venditore deve essere anche in grado di padroneggiare l’uso della parola ed i principi di persuasione, maneggiandoli con scioltezza d’eloquio.
Questo è evidente soprattutto nella fase della presentazione, del prodotto o servizio che sia, e nella capacità di utilizzare parole ed espressioni in grado di generare una realtà nella mente dell’interlocutore.
Deve possedere l’intelligenza sociale e l’arte di saper negoziare (con i clienti, ma anche con i responsabili o i collaboratori), attingendo alla diplomazia per scongiurare sterili conflitti.
Queste qualità mi sono tornate molto utili nella mia passata carriera da venditore, permettendomi di instaurare relazioni soddisfacenti e durature, e di ottenere gratificazioni pratiche, grazie ad un atteggiamento diplomatico e flessibile, teso a non prendere le questioni sul personale ma a ragionare sempre in funzione degli obiettivi da raggiungere.
Ed a proposito di arte, credo che un consulente di successo debba avere anche alcune qualità dell’attore, in particolare quella di saper cambiare pelle adattandosi di volta in volta al copione che gli viene proposto, e di improvvisare quando qualcosa sfugge dai binari preventivati.
Ed infine, il venditore-consulente, deve essere per me un grande esploratore: se è un consulente non stanziale (che non riceve esclusivamente nel suo ufficio), girerà e visiterà nuovi luoghi, ma soprattutto potrà fare tanti, e tanti viaggi ancora, quanti saranno stati i mondi delle persone che si sarà impegnato a conoscere davvero.
Tutte queste virtù e potenzialità, non vanno viste come doni dati da un talento genetico o frutto del ”carattere”, ma come attitudini che ognuno di noi possiede e può sviluppare e coltivare con un paziente e costante allenamento, impegnandosi a pensare in modo più efficace e flessibile, ed a tradurre tali pensieri in comportamenti mirati e focalizzati, finché essi non diventino delle nuove abitudini.
Come diceva Orison Swett Marden
L’inizio di un abitudine è come un filo sottile..ma ogni volta che ripetiamo l’azione, rinforziamo quel filo, vi aggiungiamo un altro filamento, finchè esso non diventi una grossa fune, che ci lega definitivamente, pensiero ed azione.
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