Ai primi di Dicembre sono tornato in Veneto per partecipare al corso LIFE (Leadership Initiative For Excellence) cui avevo preso parte nel 2019, stavolta nel ruolo di AT (assistente ai trainer).
Ho dedicato una pagina del mio blog all’esperienza del corso LIFE, questo è il link:
https://www.samarblog.info/?page_id=58814
Come ho già scritto, uno degli aspetti di maggior valore di questo percorso formativo consiste nella riproduzione artificiale di un ambiente di intenso stress emotivo, e nell’applicazione di procedure biometriche per la rilevazione quantitativa delle reazioni fisiologiche: ciò avviene attraverso l’utilizzo di sensori epidermici in grado di catturare dati come la frequenza cardiaca ed i livelli di stress.
Questo aspetto è centrale in un percorso di leadership fondato sulle neuroscienze, perché l’osservazione delle capacità di autoregolazione emotiva viene a fondarsi anche su parametri fisiologici ed oggettivi, che rappresentano un altro mattoncino da mettere nell’edificazione della conoscenza di sè.
Conoscenza, in questo caso, fortemente connessa all’esperienza ed alla condivisione con il gruppo: la parte sociale del nostro cervello, sensibile ai contesti di relazione ed in continua ricerca di controllo, viene messa a dura prova da stimoli esterni di tipo ansiogeno: trainer ed assistenti che alzano la voce, regole e rigida disciplina.
A diversi partecipanti (me compreso!) un tale scenario ha ricordato quello del corso ufficiali; il nostro cervello, razionalmente, sa bene che non esiste alcun pericolo reale, ma il cervello sociale, o emotivo, vive quel film come se fosse realtà, e percepisce realmente un senso di minaccia.
Ma è soprattutto quando si esce dalla zona di comfort che può esserci crescita, e quando le nostre certezze psicologiche vengono minate si può attingere al proprio vero potenziale; e quando ci si mostra in difficoltà e si viene sostenuti da un gruppo che nel mentre si è coeso si comprende che è possibile sentirsi ok anche se si è vulnerabili.
Il potere della vulnerabilità, a mio modo di vedere, è uno dei più grandi insegnamenti di questo percorso.
La ricercatrice americana Bren Brown ha dimostrato come la capacità di accettare le imperfezioni, anziché vergognarsene, sia una caratteristica necessaria per connettersi con sé e con gli altri, e come le persone che riescono a provare un senso di merito ed appartenenza sono proprio quelle che accettano la loro vulnerabilità.
Questo concetto trova una corrispondenza straordinaria con l’esperienza del LIFE, dove in entrambe le occasioni ho visto assegnare il premio del miglior corsista (“La stella del cambiamento”), a due persone che più degli altri hanno sfidato i loro limiti ed accettato di mostrare le loro debolezze.
L’esperienza da assistente ha dato un tangibile valore aggiunto rispetto alla mia partecipazione al LIFE, tanto da considerarla non un’appendice della stessa, ma un vero e proprio completamento del percorso, un’esperienza del tutto speculare tramite cui osservare, da un altro angolo, la stessa realtà.
Anzitutto, l’impegno materiale cadenzato su ritmi ed orari intensivi ha fortificato il mio senso di responsabilità, mentre interpretare la parte del “cattivo” o del “duro” mi ha aiutato ad esprimere quelle parti di me più audaci e combattive, che a volte soffoco per troppo amor di pace, facendomi fare nel concreto l’esperienza che non devo per forza risultare buono e simpatico.
Poi, come nelle vesti di partecipante mi ero rispecchiato nei miei compagni e nelle loro paure, osservando stavolta i processi da un punto di vista più imparziale, è come se gli attori che avevo davanti porgessero di fronte ai miei occhi uno specchio ancora più dilatato, dove di nuovo potevo associarmi alle loro emozioni di paura o vergogna che erano state a suo tempo le mie, a quelle di sollievo ed empatia nei momenti di unione col gruppo, ed alla sensazione di potere interno che genera dalla sfida ai propri limiti.
Tornando verso casa, in treno, percepivo una sensazione di benessere, di ideale connessione con tutte le persone che erano state lì, ma soprattutto avvertivo un senso di pienezza, propria di chi ha arricchito la sua visione trovando la sintesi armoniosa tra ciò che aveva appena vissuto, e quel che ricordava di aver vissuto.
Mi sento infine di ringraziare tutto lo staff della scuola Cimba, ed i trainer Francesca Furlanis, Luigi Negretto e Nadia Genovese, persone dal carisma ed umanità straordinarie.