Era da tempo che mi ronzava in testa l’idea di scrivere un articolo sul merito, da quando avevo intrattenuto un dialogo con un mio conoscente intellettualoide che aveva contestato la retorica che circonda il principio.
Mi sono preso del tempo per formarmi una mia idea e metabolizzarla, e sono giunto anche io ad un costrutto personale critico nei confronti del merito e dei suoi lineamenti essenziali, almeno per come il concetto sembra essere comunemente inteso.
Poiché l’argomento è vasto, suddividerò il mio piccolo trattato in due differenti articoli.
In questo primo articolo, voglio parlare delle origini del merito e di come esso entri nel dibattito politico, espandendosi a tutto raggio in altri ambiti della vita sociale (ad esempio quello professionale).
Siamo alla fine degli anni ’80 del 1900, con Reagan negli Stati Uniti e Blair in Gran Bretagna.
Più tardi Obama conierà lo slogan: ‘’You can make, if you try’’ (‘’Puoi farlo, se ci provi’’).
Arriviamo ai giorni nostri, alla Leopolda del 2019, quando l’ex-ministra Bellanova afferma che ‘’Chi ce l’ha fatta, ce l’ha fatta per merito, ed il merito è di sinistra […] Il merito è il nostro unico parametro di misura’’.
Ma merito di cosa?
Il fatto curioso che ho potuto approfondire, è che il termine meritocrazia nacque diversi anni prima del 1980 e fu coniato da un sociologo inglese: siamo nel 1958, quando Michael Young descrisse nel suo romanzo ‘’The rise of meritocracy’’( “L’ascesa della meritocrazia”), una società futura basata interamente sul merito, inteso come somma di talento e impegno da dedicare totalmente al servizio delle “esigenze dell’efficienza”.
Con il neologismo da lui coniato, Young intendeva far emergere il potenziale rischio che una rigida applicazione del principio meritocratico avrebbe potuto amplificare le già marcate diseguaglianze sociali.
Il paradosso incredibile è che un’idea nata originariamente per rappresentare una distopia, una visione che prefigurava un futuro indesiderabile, viene oggi considerata, da molti, un’utopia, ed un ideale sano su cui edificare l’ordine sociale.
A un certo punto è successo qualcosa per cui l’idea di una società fondata sul principio di premiare in virtù del quoziente intellettivo e dello sforzo profuso, si è trasformata in un’idea positiva.
Nel giugno 2001, Michael Young, dovette scrivere un articolo su “The Guardian” per cercare di far comprendere l’equivoco, e per spiegare quanto l’idea di meritocrazia fosse stata fraintesa, e non riconosciuta come pericoloso antecedente di una deriva distopica.
Ma era troppo tardi: l’idea era penetrata nei palazzi della politica e nelle vene del tessuto sociale, anche se, con il passare degli anni, il consenso che ha riunito è stato sempre meno unanime.
E’ del 2019 la pubblicazione dello storico italiano Mauro Boarelli intitolata ‘’Contro l’ideologia del merito’’, mentre in un altro saggio, ‘’La tirannia del merito’’, il filosofo ed economista americano Micheal Sandel attacca duramente il mito della meritocrazia, ponendo in evidenza il modo in cui la retorica dell’ascesa è stata strumentalizzata dalla politica.
La tesi di fondo del libro è che questa mentalità, lontana dal condurre ad un’utopia illuminata e più giusta per tutti, si basi su un falso presupposto: a volte impegnarsi e dare il massimo non è sufficiente, perché entrano in gioco fattori sociali, economici e culturali che giocano contro la persona.
Mi ricollegherò a questo punto importante, per sviluppare la mia riflessione personale in un prossimo articolo.