Alcuni anni fa, leggendo un articoletto, mi soffermai sulla gustosa osservazione che, prendendo in considerazione l’espressione “seghe mentali”, metteva in relazione la masturbazione con il vocabolo inglese “must”, “dovere”.
L’articolo, scritto da un giornalista livornese, ironizzava con tono vernacolare sulle storture insite nel concetto di dovere, rappresentandolo nei termini di elucubrazioni e norme essenzialmente autoimposte che hanno dato vita all’espressione gergale e poco elegante, sia pur icastica, di seghe mentali.
Il concetto di dovere rientra in pieno nel tema più ampio del pensiero assolutistico e dogmatico trattato a fondo dalla psicologia cognitiva, secondo la quale questo tipo di pensiero è una delle maggiori cause di stati d’animo e comportamenti disfunzionali.
Il pensiero assolutistico prevede dogmi, e conseguenze altrettanto assolute, come quando ad esempio si crede che si abbia un assoluto bisogno di essere approvati dagli altri, e che se ciò non accadrà le conseguenze saranno gravissime.
Naturalmente, ciascuno desidera essere apprezzato dalle persone con cui si relaziona, e non c’è niente di anomalo a nutrire questo desiderio, il problema nasce quando il desiderio di approvazione (legittimo perché può procurare dei vantaggi personali), diventa qualcosa di essenziale, e la preferenza viene trasformata in obbligo.
Bisogni incoercibili e doveri sono i due pilastri del pensiero assolutistico, ed il dovere in particolare si trova alla base di diversi disturbi emotivi, come la depressione, ma anche la colpa e la rabbia.
Nel primo caso ad esempio, una persona può arrivare a sentirsi svilita ai suoi stessi occhi perché ha fallito in un determinato compito, mentre implicitamente credeva di avere il dovere di riuscire: la mancata riuscita porta alla conclusione di essere priva di valore, compiendo l’ulteriore errore di equiparare il comportamento alla globalità del proprio essere.
Caricarsi troppi doveri sulle spalle quindi porta a vivere male, ad avere l’ansia di riuscire a tutti i costi, a non permettersi idee nuove per paura di sbagliare.
Il concetto di dovere è però un concetto privo di verità empirica, di cui in sostanza è difficile dimostrare l’esistenza.
Ognuno potrebbe domandarsi: “Quali sono le prove che io abbia il dovere di comportarmi in modo adeguato e competente?”.
E più in generale: “E’ possibile trovare prove concrete che sostengano l’esistenza di un qualsiasi dovere?”.
Io, personalmente, credo di no.
Pensiamo alla quotidianità: se non vado a rubare oppure rispetto i miei genitori ed amici, non agisco in questo modo perché esiste un “Dovere” o un comandamento religioso a prescrivermelo, ma perché riconosco l’esistenza di validi motivi per comportarmi esattamente in quel modo, tra cui preservare la mia vita, il mio lavoro, i miei affetti.
La legge stessa non vieta di delinquere, anzi implicitamente afferma che ognuno è liberissimo di rubare o uccidere, purchè sia disposto ad accettarne le conseguenze.
Si pensi all’assurdità di una legge del genere: “Chi uccide un membro del Parlamento viene punito con 25 anni di galera. Chi uccide un membro del Governo viene punito con 26 anni di galera. Il Presidente della Repubblica invece non si deve uccidere”.
L’esempio, grottesco, serve a far comprendere meglio che il dovere, da solo (ad esempio, senza i 27 anni di prigione), non si tiene in piedi.
In conclusione, nulla contro la pratica in sé, specie se non autarchica ed autoreferenziale; ma la masturbazione dei doveri, quella si, può condurre alla cecità, ed al grigiore di un’esistenza priva di piacere e di creatività.