Questo articolo lo dedico all’animale a cui, simbolicamente, mi sento più vicino ed affezionato: l’Aquila.
Non a caso, è stata proprio l’aquila ad ispirare il mio primo tatuaggio: vivo ogni giorno in compagnia di un’aquila dal 2006, il prossimo anno diventa maggiorenne.
Ed è l’aquila che ha ispirato la copertina del mio blog.
Vari popoli ne hanno fatto un’icona della divinità, e la stessa è stata presa ad emblema dalle potenze di mezzo mondo: l’Impero romano, gli zar di Russia, per arrivare agli Stati Uniti che ancora oggi si fregiano del simbolo dell’aquila di mare testabianca.
La forza di questo meraviglioso rapace è leggendaria, ed i suoi sensi fantascientifici: i suoi artigli sono dieci volte più forti di una mano umana e possono arrivare ad afferrare prede che pesano quanto lei, come se io riuscissi a sollevare un energumeno di quasi 90 chili!
La loro vista è stupefacente: ha un’acutezza tale che, se la possedesse un uomo, costui potrebbe scorgere una formica dall’altezza di un edificio di dieci piani!
Inoltre, l’aquila ha una visione a 340° contro i nostri 180°, e sa vedere colori che l’occhio umano non è in grado di percepire.
In passato si diceva anche che, grazie ai suoi occhi straordinari, l’aquila fosse in grado di fissare il sole senza danno, motivo per cui Dante la prese a paragone per la sua Beatrice che gli fa da guida nel Paradiso.
L’aquila è tradizionalmente associata all’acutezza ed alla profondità di visione, alla vitalità ed alla fierezza.
Pochi però sanno che l’aquila racchiude in sé anche un potente simbolismo legato al cambiamento ed al rinnovamento interiore.
Un’antica leggenda indiana narra che l’aquila viva 70 anni, e che quando arriva all’età di 40 anni, questa regina dei cieli cominci ad essere stanca, e per lei questa stanchezza potrebbe essere l’inizio della fine.
I possenti artigli si sono rammolliti e gli rendono difficile procurarsi le prede, ed anche il becco incurvato la rende meno forte e minacciosa.
Le piume del petto ispessite le blandiscono il volo.
A questo punto l’aquila decide che l’unico modo per salvarsi è affrontare un doloroso processo di cambiamento: si ritira in solitudine su un nido molto alto, inaccessibile ad altri predatori, e si stacca violentemente il becco sbattendolo contro una parete di roccia.
Affronta un incommensurabile dolore per darsi l’opportunità di ricominciare a vivere.
Quando le cresce il nuovo becco, con questo si strappa gli artigli divenuti flaccidi, e con il nuovo becco ed i nuovi artigli che le ricresceranno, si strappa ad una ad una le piume del petto.
Secondo la leggenda, questo processo dura 150 giorni, la bellezza di 5 mesi.
Trascorso questo periodo, l’aquila esce da quel luogo isolato di sofferenza, lo guarda con rispetto e riconoscenza, e con un becco nuovo, artigli e piume vigorose come un tempo, si libra in un nuovo volo pronta a vivere per altri 30 anni.
Non sto a soffermarmi più di tanto sulle analogie personali, che mi hanno portato ad imprimermi questa storia sulla pelle: un forte momento di dolore, divampato proprio in seguito ad un’esperienza durata 5 mesi.
Ragiono invece sui significati di dolore, sofferenza e rinascita che la maestosa aquila porta con sé.
Molte persone non trovano mai il coraggio di cambiare ciò che le affligge, e per timore di soffrire accettano un’esistenza mediocre e piena di rinunce.
Ai loro occhi, cambiare porterebbe con sé un tale carico di incertezza e sofferenza, che non ci provano nemmeno, e preferiscono accettare le angustie di ciò che almeno è noto, e non comporta sforzi; in questo modo, si perpetuano legami sterili ed autodistruttivi, e situazioni di vita improduttive.
E lentamente, si muore, o per dirla come Ralph Waldo Emerson, si arriva a condurre una vita di ”tranquilla disperazione”.
Ma l’aquila volteggia sempre nel cielo, immensamente sopra le nostre teste, a ricordarci che ogni crisi può generare una trasformazione, e che accettando il dolore e la sofferenza legate al cambiamento, si possono guadagnare straordinarie ricompense, tra cui l’opportunità di una seconda vita.
Grazie Fabrizio, non conoscevo questa leggenda dell’Aquila, e la trovo molto affine ad alcuni miei comportamenti;
Quando ho problemi che mi affliggono, mi ritiro in qualche luogo appartato, a volte anche per diverse ore, spengo telefono e divento irrintracciabile.
il posto non conta, scelgo luoghi estremi, a volte può essere una SPA, se ho tempo, altre volte mi basta chiudermi in auto in qualche posto isolato …
Devo calmare la mente, “strapparmi le piume dal petto” per ricominciare piu forte di prima.
È un’analogia che mi porterò come esempio da ora in avanti.