Il mio approccio alla persona, in campo professionale e più estesamente nei contesti di relazione, risente dei concetti fin qui espressi e di quelli contenuti nelle pagine seguenti, ed ha come colonne portanti di sostegno la mia formazione nel coaching umanistico ed il modello cognitivo di Albert Ellis.
Premessa a tutto ciò è secondo me l‘ascolto empatico, condizione essenziale ma non scontata: troppo spesso infatti l’ascolto è marginale, o limitato dalla concentrazione sul “cosa rispondere“.
L’ascolto empatico invece è sincero e totale, focalizzato sulla persona e su come si sente rispetto a ciò che sta dicendo, segue il principio del “cerca prima di capire.. poi di farti capire“, ed è salutare per il nostro interlocutore.
Altra premessa importante è l’alleanza: nell’impostazione del coaching umanistico è importante che il collaboratore o la persona in genere ci avvertano come un alleato, con cui sono stretti in un legame di solidarietà e di sostegno non giudicante, e che funge anche da preziosa “risorsa” per i suoi obiettivi, per mezzo del supporto concreto e del ricorso all’esempio diretto.
Certamente quindi del mio approccio alla persona fanno parte il sentimento di accettazione altrui ed un’impronta pratica ed esperienziale, fatta anche di un uso abbondante del vissuto personale. Fedelmente all’impostazione del coaching umanistico, il mio approccio ad un collaboratore da formare o ad una persona a me vicina che mi palesa una difficoltà, è quello innanzitutto di considerarli non come portatori di un qualche limite, bensì come persone nella loro interezza, dotate di un potenziale e di una o più potenzialità da dispiegare.
Il mio focus non è sulla problematica (anche perchè sconfinerei in campi che non mi pertengono), ma sulle potenzialità, e si attua individuandole, ed incoraggiandone il riconoscimento e l’utilizzo da parte dell’altro.
Avere sposato già da molti anni il modello cognitivo proposto da Albert Ellis, mi porta ad avere una forte sensazione di fiducia verso il potenziale umano e le capacità di cambiamento. Con cambiamento non intendo soltanto un modello alternativo ed una chiave di uscita rispetto alla sofferenza psicologica, ma anche semplicemente l’acquisizione di nuove abilità emotive e comportamentali tramite cui l’individuo può arricchire la sua esperienza e perseguire in modo più funzionale i suoi obiettivi.
Il mio approccio risente profondamente della circostanza che io stesso ho realizzato cambiamenti decisivi in diversi ambiti della mia vita, ed incorpora necessariamente questa emozione di fiducia.
Essa si fonda sul presupposto secondo cui un’emozione negativa, possibile ostacolo verso il raggiungimento di una meta, non sia un’entità a se stante, ma una componente di un unico correlato pensiero- emozione- comportamento.
Io sono molto propenso ad interpretare cosi’ questi ostacoli, quando dovessi intravederli: non come difetti del carattere formatisi chissà quando, o limiti insuperabili, ma come abitudini che come tali possono disapprendersi e modificarsi.
Affinché ciò avvenga è necessario concentrarsi sul “qui ed ora”, mettere in discussione e cambiare le proprie credenze, e sostenerle attivamente con una massiccia azione coerente con il nuovo apprendimento.
Il mio approccio alla persona sposa in pieno l’idea che quando una persona viene guidata a fare qualcosa che teme o rifiuta di fare, il più delle volte, agendo, tenderà ad estinguere la propria emozione negativa (ed in alcuni casi ad appassionarsi al processo), come dimostrano chiaramente i noti esperimenti sul condizionamento animale.
Guidare qualcuno verso un obiettivo richiede spesso degli step intermedi, come la sperimentazione della competenza che si vuole trasmettere in un contesto protetto (ad esempio una “simulata”), o l’osservazione del comportamento altrui. In questi casi sarò io per primo a fare qualcosa, sfruttando la naturale capacità delle persone ad apprendere per imitazione ed a rispecchiare attivamente l’agire di un proprio simile. E qui si aprirebbe l’interessantissimo argomento dei neuroni specchio, ma andrei troppo oltre.
Naturalmente lo scopo finale del processo è rendere autonoma la persona nella manifestazione della competenza acquisita.
Per tutte queste ragioni, il mio stile piuttosto che passivo o troppo attendista o prudente, tende ad essere esortativo e persuasivo.