Si è detto che uno dei presupposti della comunicazione sia il seguente:
LA MAPPA NON E’ IL TERRITORIO!
Ribadita questa premessa c’è da aggiungere che nel contesto soggettivo della percezione della realtà, per filtrare la realtà stessa selezionando le informazioni che ci provengono dai cinque sensi in modo da scartare quelle meno utili, la nostra mente utilizza un canale preferenziale.
Questo canale viene solitamente definito come sistema rappresentazionale.
Esistono tre sistemi che sono: Visivo, auditivo e cinestesico.
Alcuni individui, nel selezionare le informazioni che provengono dai cinque sensi (vista, udito, olfatto, tatto e gusto) prediligono le immagini, altri i suoni ed altri ancora le sensazioni. Generalmente, un individuo utilizza contemporaneamente questi selettori mentali, tuttavia di solito un sistema viene utilizzato in via prevalente.
I sistemi rappresentazionali si esprimono attraverso tutti e tre i livelli della comunicazione: un visivo, tendenzialmente utilizzerà predicati che hanno a che fare con la vista, adoperando espressioni come “La vedo bene“, “Non mi sembra molto chiara” ecc., ed un linguaggio non verbale caratterizzato da velocità di esposizione (perchè rappresentandosi la realtà tramite immagini, deve stare al passo con esse), accompagnato da una gestualità descrittiva.
Anche gli altri sistemi rappresentazionali, hanno le loro peculiarità a livello sia verbale, che paraverbale e non verbale.
Relativamente ai segnali non verbali, diversi studi sono stati fatti sui movimenti oculari, studi che dimostrerebbero come il nostro cervello tenda a catalogare il materiale in determinati scomparti mentali, a seconda che si tratti di materiale raccolto in immagini, suoni o sensazioni, e che i movimenti degli occhi vadano nella direzione delle informazioni che si vogliono recuperare.
Per esplicitare meglio, secondo gli studiosi il computer della nostra mente almeno come regola, archivia le immagini relative ad un ricordo personale, nella parte in alto a sinistra; per cui, chiedendo ad una persona: “Quante finestre aveva la casa in cui vivevi da bambino?”, presupponendo che l’interlocutore faccia uno sforzo per attingere a quel visivo ricordato, ci si dovrebbe aspettare che lo stesso compia dei movimenti oculari, magari impercettibili, rivolti verso l’alto ed a sinistra (alla destra dell’interrogante).
Qual’è l’applicazione pratica di tutto ciò?
Comprendere che il nostro interlocutore, sulla base delle parole che utilizza, o di come parla e gesticola stia utilizzando un sistema rappresentazionale piuttosto che un altro, può essere un brillante presupposto per creare un rapporto di fiducia, quello che in pnl viene chiamato rapport.
Il rapport è stato minuziosamente studiato dai due fondatori della pnl, Richard Bandler, un matematico, e John Grinder, un linguista che, dopo avere a lungo osservato il modo di fare terapia del più grande ipnoterapeuta mai esistito, Milton Erickson, compresero che prima ancora della terapia in sè, il fattore di successo di Erickson con i suoi pazienti fosse dato dalla capacità di instaurare un vero e proprio rapporto di fiducia.
Una consistente parte dei risultati di Erickson era dovuta all’abilità con la quale egli riusciva a costruire questo rapporto adattando la propria comunicazione a quella dell’altro, eseguendo il cosiddetto “mirroring” o rispecchiamento: il ricalco della comunicazione dell’interlocutore, in particolare del canale non verbale, conduce ad avere rapporto, sintonia e comprensione.
Spesso, infatti si dice che due persone che sono estremamente in sintonia tendano a rappresentare una vera e propria “danza”: la danza della comunicazione! Il ritmo, la respirazione, la gestualità sembrano ad un certo punto calibrarsi le une sulle altre.
Dalla psicoterapia, i modelli della pnl si sono espansi a largo raggio, si pensi alla politica, alla vendita ecc.
Ed in tal senso, mi riferisco ad esempio alla professione di venditore che ho svolto per tanti anni, o a quella di formatore di venditori che continuo a svolgere, possono offrire validi spunti: se io capisco che il mio potenziale cliente (o collaboratore), sulla base del linguaggio verbale e non verbale che usa, ama rappresentarsi il mondo sotto forma di sensazioni, che senso ha ostinarmi ad utilizzare un altro tipo di linguaggio? O uno stile di comunicazione disallineato, come nel caso di una persona che ama parlare lentamente e con delle pause, mentre io continuo a parlare a raffica?
Non conviene fare uno sforzo per adattarmi di più al mio interlocutore?
E questo, non soltanto per il mio interesse, ma per quello della comunicazione in sè.