Mi sono chiesto spesso, in passato, se il concetto di manipolazione potesse avere dei significati anche positivi, credendo in cuor mio di sì; ascoltando un convegno di Giorgio Nardone, psicologo e massimo esponente della Terapia Strategica nonchè autore di numerosi libri, e quasi nello stesso tempo guardando un pò casualmente un bel film in televisione, ho potuto definire meglio il mio pensiero.
Nardone parla di linguaggio performativo e di tre differenti registri: la persuasione, il convincimento e la manipolazione.
Persuadere, come indica l’etimo, significa portare soavemente a sé.
Il punto essenziale del processo è quello secondo cui l’interlocutore persuaso, arriva ad abbracciare un punto di vista diverso come se fosse una sua scoperta.
Questo, come specifica Nardone, è ciò che non avviene nella dialettica, dove la tesi con maggiori prove prevale sull’altra, ma l’interlocutore raramente è persuaso.
Diverso era il procedimento utilizzato dal filosofo greco e maestro di retorica Protagora, che anziché attraverso le affermazioni, utilizzava domande in successione tramite le quali, al pari di tegole messe una sopra all’altra, l’allievo poteva sperimentare una prospettiva diversa come se, appunto, fosse stata una propria scoperta.
Altra categoria del linguaggio performativo è il convincimento, che ha maggiormente a che fare con l’aspetto cognitivo, e con la strutturazione dei contenuti in modo tale che essi facciano giungere l’interlocutore ad accettare una tesi mediante un processo di graduale convincimento, partendo da una ipotesi iniziale che attraverso una successione di passaggi finisce per diventare una dimostrazione.
Nardone cita come esempio storico l”’Origine della specie’‘ di Darwin, dove la prima pubblicazione avvene quando lui ancora non aveva le prove di ciò che scriveva, ammettendo di aver formulato delle semplici ipotesi, le quali però progressivamente incorporano prove acquistando il peso della dimostrazione.
Infine si parla di manipolazione.
Secondo Nardone, la manipolazione consiste nel condizionamento: vengono citati come esempi i trattamenti sanitari subiti dal drugo Alex nel film ”Arancia Meccanica”, e quello dei prigionieri americani costretti dai carcerieri cinesi a scrivere dei veri e propri trattati contro il pensiero occidentale.
Altro meccanismo di condizionamento citato dal relatore e finalizzato a plagiare la volontà individuale è quello utilizzato dai fondatori e dai fanatici delle sette.
Alla fine del suo intervento però, Nardone aggiunge che un terapeuta (quale lui è) può usare una tecnica comunicativa molto ingiuntiva per favorire la regressione di un grave disturbo psichico nel paziente, così come un chirurgo manipola un tumore con il bisturi per estirparlo.
In questo concetto ho trovato una straordinaria somiglianza con il mio pensiero, che ha distinto sempre persuasione e manipolazione sulla base dello strumento usato, ma della finalità; proprio come un coltello (che normalmente serve per tagliare il pane) può essere utilizzato per uccidere, allo stesso modo un bisturi può servire per salvare una vita.
Nel concetto di manipolazione quindi aggregherei quest’altro elemento: il condizionamento deve essere esercitato per ottenere un tornaconto personale (ad esempio politico, come accadeva nei campi di concentramento cinesi); solo in questo caso si può parlare di manipolazione.
O, forse, di manipolazione cattiva.
Per citare Zig Ziglar, uno dei più famosi scrittori motivazionali,
‘
‘’la parola motivazione viene spesso confusa con manipolazione.. La motivazione avviene quando persuadi gli altri a prendere azione nel loro stesso interesse. La manipolazione è la persuasione degli altri a prendere azione nel tuo interesse primario.”
Quindi, persuade (o motiva) chi dolcemente porta a sé, manipola chi condiziona per un suo interesse primario.
Ma allora, il chirurgo cosa fa?
Il terapeuta direttivo che prova ad estirpare un blocco emotivo, cosa fa?
Se quel blocco è invalidante, difficilmente potrebbe essere trattato con dolcezza e gentilezza, ed in un caso del genere, persuadere potrebbe non funzionare per generare un cambiamento.
Probabilmente saremmo più vicini al terreno del condizionamento piuttosto che a quello del ”soavemente portare a sè”, ma di un condizionamento differente: esercitato a fin di bene ed in funzione dell’altro, un condizionamento a fin di bene.
Ecco che allora mi sento di concludere la mia riflessione dicendo che esiste anche una manipolazione ‘’buona’’, fatta a fin di bene.
Nel prossimo articolo corroborerò questa tesi parlando di un film che ho visto recentemente e che parlava proprio di questo.