In una delle sue brevi storie, Anthony De Mello racconta di un soldato al fronte che si lamenta con un suo compagno per il rumore incessante delle bombe, perché ogni tanto qualche caro amico perde la vita, e perché i suoi anfibi sono maledettamente stretti.
Il commilitone gli risponde: ‘’Comprendo il dolore evocato dalla perdita di un soldato amico, e dal rumore sordo delle bombe, ma in quanto agli anfibi, non potresti fare richiesta di un paio di calzature più larghe?’’
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Il maestro Piergiorgio Caselli racconta di una camminata in un bosco innevato con il suo lupo bianco, e l’incontro con una bambina che a tutti i costi cerca di avvicinare il lupo e accarezzarlo, mentre lui le sfugge e con il suo segreto linguaggio comunica al padrone di non volere essere toccato.
Il maestro si avvicina alla bambina, che tutta vestita di rosso, su quella immensa distesa bianca, sembra una piccola ciliegia dallo sguardo triste, e le spiega in modo gentile che il suo cane impiega del tempo a sentirsi confidente con persone che non conosce, e che quando se la sentirà sarà lui ad avvicinarsi.
La bambina risponde: ‘’Ma io lo voglio tanto. E se una cosa la voglio, posso averla’’.
Ma dopo un po’ sembra rinunciare, si siede in disparte vicino a un albero, e proprio in quel momento il lupo bianco le si avvicina e inizia a scodinzolarle ed a leccarle il viso.
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Invece, il soldato della storia di De Mello, cosa aveva risposto al commilitone che gli suggeriva di cambiare anfibi?
Gli aveva risposto che la vita al fronte era talmente grama, che togliersi gli anfibi dopo essersene sentito oppresso per tutto il giorno, era la sua unica soddisfazione.
Questi due racconti molto semplici, suggeriscono alcune riflessioni su quella condizione umana che siamo soliti intendere come felicità.
Il soldato stremato dagli anfibi stretti, sembra rappresentare la metafora della felicità condizionata: si può essere felici solo quando si ottiene qualcosa, o ci si libera da quello che ci opprime.
Il soldato rappresenta quella parte di noi che cerca continuamente uno stato di sollievo temporaneo come risposta alla frustrazione o al disagio, ritrovandosi sempre in attesa di un evento futuro, di una circostanza esterna che possano finalmente portare la serenità, senza rendersi conto che questa visione è fragile, perché destinata a crollare non appena le condizioni cambiano.
Questa parte di noi è imbrigliata in una visione dualistica della realtà, laddove la felicità viene a fondarsi sulla necessità dell’alternanza tra due stati opposti, e sulla presenza o assenza di qualcosa.
Come può esserci felicità se essa viene considerata ottenibile solo attraverso l’eliminazione o la modifica di un elemento esterno, o se si definisce solo in relazione al suo opposto?
Può sembrare un ragionamento astratto, eppure secondo me capita spesso e a molti di noi, di allacciare con troppa forza i propri anfibi, per provare il piacere di togliergli, credendo che il vero piacere sia quello.
Questo accade ad esempio, nel perpetrare relazioni tossiche, perché i momenti di intesa e affetto che seguono periodi di crisi e tensione, possono essere percepiti come intensamente gratificanti; oppure quando si affrontano anni di privazioni, sia fisiche che psicologiche, per costruire una carriera con l’idea che la felicità arriverà come ricompensa per il tanto dolore sopportato.
Quando il successo sarà raggiunto, e l’obiettivo ottenuto, il più delle volte la felicità risulta però effimera, spingendoci verso nuovi obiettivi, e rimandando la felicità a quando essi saranno raggiunti, perpetuando quindi un ciclo illusorio.
Cosa insegna invece la bambina?
Anche in lei c’è dualismo, il contrasto tra la sua anima innocente, ed il mostro iper consumistico e prestazionale che se ne è precocemente impossessato; così piccola, non può già attribuire senso compiuto all’idea che se si desidera tanto qualcosa, si può ottenere.
La bambina ha interiorizzato la voce dei genitori ed i chiacchiericci sulla rappresentazione dell’universo come un cameriere cosmico sempre all’erta e pronto a servirle il piatto dei suoi desideri su un vassoio d’argento.
Il lupo bianco invece è la forza della natura libera dal condizionamento: finché la bambina si ostinava a rincorrerlo, il lupo la seminava, frustrandola nel suo desiderio.
Sarà il lupo a trovarla, quando lei avrà smesso di inseguirlo.
L’intera umanità si interroga, dall’albore dei tempi, su cosa sia la felicità, ed anche io me lo domando con passione; a volte ho trovato risposte diverse, altre volte nessuna, forse in futuro arriverò ad una comprensione più profonda, ma intanto ho trovato due luoghi in cui non può esservi felicità.
Il primo è quello abitato dal dualismo e dalla dipendenza dalle condizioni esterne.
Il secondo è quello della strenua ricerca, dell’inseguimento e del pedinamento della felicità, anziché della quieta attesa.
Concludo il mio articolo con questa frase, citata sempre dal maestro Caselli:
‘’Quando avrete trovato un motivo per essere felici, la vita ve lo toglierà’’.