Nel coaching umanistico non si tratta soltanto di raggiungere i propri obiettivi o migliorare la propria performance; si tratta di farlo crescendo, migliorando la propria vita.
E’ questo che crea un circuito virtuoso in cui le potenzialità si esprimono in azione e questa in miglioramenti concreti che incidono sul benessere globale dell’individuo spingendolo sulla via di un continuo progresso.
I concetti di benessere, miglioramento ecc. richiamano il concetto cardine di felicità.
Si tratta di un concetto dibattuto dall’albore dei tempi ed oggetto della speculazione di filosofi di ogni tempo e dove, che la scuola di coaching umanistico affronta secondo tre diverse direttive:
1 -visione aristotelica
2 -visione esistenzialista
3 -visione relazionale
Il I° modo di affrontare il tema della felicità è stato elaborato da Aristotele secoli fa, ed è stato poi assimilato dal pragmatismo anglosassone fatto di vision, mission e goal. La felicità consiste quindi nel realizzare obiettivi, ed è correlata al fare, nel senso più nobile che possiamo dargli. E’ la felicità che si prova nel rispecchiarsi di fronte alla propria opera, nell’essere la propria opera. Ha un’essenza quasi trascendente ed una concezione di immortalità che passa attraverso ciò che si è fatto nella propria vita.
Il II° modo è quasi primordiale, teneramente autobiografico, è una felicità dell’ “esserci“, ovvero del sentirsi, un’armonica sensazione di corpo ed anima fusi nell’entità del Sè. A torto viene ridotta all’autostima che sottintende invece una sorta di valutazione ed autovalutazione, che sostituisce la percezione diffusa e lieve di esistere, positivamente. Clarice Lispector, scrittrice naturalizzata brasiliana, l’ha tratteggiata in maniera leggiadra con queste parole:
“Non c’è uomo nè donna che per caso non si sia guardato allo specchio e si sia sorpreso di sè. Durante una frazione di secondo ci si vede, come oggetto da guardare. Quello che potrebbe chiamarsi narcisismo io lo chiamo: gioia di essere. Gioia di trovare nella figura esterna gli echi della figura interna: ah, allora è vero che non me lo sono immaginato, io esisto”.
Il III° modo è infine strettamente legato all’eros ed all’amore, amore per qualcosa, per qualcuno, di qualcuno. Qui la felicità diventa interna ai rapporti umani e collegata ai rischi ed alla fatica dell’amore. E’ la forma di felicità che si spende nelle relazioni, nell’accudimento, nella protezione e che implica trasmissione di sè ed apertura all’alterità.
Questi approcci alla felicità umana che derivano dalla tradizione filosofica e letteraria, trovano una straordinaria corrispondenza nella Self Determination Theory elaborata da Deci e Ryan, due psicologi dell’Università di Rochester (Usa).
Secondo tale teoria sulla motivazione, nella vita esistono tre aree di sviluppo che bisogna soddisfare per essere felici e per realizzarsi nella propria interezza.
Sono aree che non sono compensabili tra loro, per cui la piena soddisfazione di una non risolve la frustrazione di un’altra.
Le aree dell’auto-realizzazione personale, secondo gli esponenti di tale teoria sono:
-La competenza: il bisogno di integrarsi ed armonizzarsi con i contesti e con l’ambiente. Il bisogno di competenza riveste soprattutto l’attività del fare: lavoro, studio, sport, le attività finalizzate ad un prodotto, la crescita e lo sviluppo professionale.
-La relazionalità: il bisogno di costruire ed avere relazioni sociali. La relazionalità è alla base stessa della sopravvivenza, in cui si situa la relazione madre-bambino, senza la quale per il bambino non ci sarebbe alcuna probabilità di sopravvivere. Ma è anche la relazione naturale e spontanea in cui il bambino si esprime e la madre ascolta. E’ la tendenza ad aderire ad un gruppo, all’appartenenza che è diversa dalla dipendenza perchè caratterizzata da scelta e reciprocità.
-L’autonomia: la tendenza spontanea di un individuo a tendere all’auto-governo. L’autonomia riflette l’esperienza di integrità, coscienza e senso di sè. L’individuo riesce ad essere autonomo grazie alla sua socialità, ed è indipendente non perchè isolato dagli altri ma perchè agli altri può legarsi, in virtù della sua facoltà di scelta. E’ il regno della scelta libera e cosciente, nel mondo degli altri.
Come si può dedurre, il bisogno di autonomia si lega alla felicità dell’esserci, quello di competenza alla felicità del fare, e quello della relazionalità con la felicità che possono offrire i legami umani affettivi.
La felicità che deriva dai processi di autorealizzazione è stata studiata a fondo dalla psicologia positiva, che ha dimostrato che essa non è solo e tanto uno stato emotivo, quanto una importante risorsa psicologica che può essere usata per raggiungere i propri obiettivi. Le persone più felici tendono ad essere più sane, creative, a vivere ed a guadagnare di più.
Per felicità la psicologia positiva intende un livello ottimale di emozioni positive che non è nè estatico nè euforico, ed in cui la realizzazione di sè non è nè eccessivamente intensa nè permanente. E’ piuttosto un vissuto fatto di piaceri e soddisfazioni quotidiane. E’ composta da una componente emotiva e da una cognitiva. Consiste nel provare emozioni frequenti e piacevoli, una relativa assenza di emozioni negative, ed un generale senso di soddisfazione rispetto alla propria vita.