Questo articolo si propone idealmente come continuum della precedente riflessione personale sul concetto di autostima.
Anche se secondo diversi studiosi autostima ed autoefficacia sono correlati tra loro, a mio modo di vedere esistono delle differenze tra i due concetti, date soprattutto dall’assenza, nell’autoefficacia, dell’elemento di valutazione globale di se stessi, e dal suo precipuo orientamento verso il piano del “fare”.
Alimentare l’autoefficacia significa dunque, secondo me, sforzarsi attivamente di incrementare il valore delle proprie azioni e qualità personali, per ottenere le mete desiderate e trarre piacere dal processo per raggiungerle, unitamente alla coscienza che il valore delle proprie azioni non è il valore globale di sé come individui.
L’ideatore del costrutto di autoefficacia è lo psicologo canadese Albert Bandura, celebre per i suoi studi sull’apprendimento sociale, secondo cui essa corrisponderebbe alla consapevolezza circa le capacità di saper padroneggiare le circostanze esterne e gli aspetti del proprio funzionamento psicologico.
Si potrebbe dire allora, che l’autoefficacia somiglia molto al concetto di fiducia.
Secondo Bandura esistono 5 fonti attraverso cui alimentare il senso di efficacia personale, e l’insieme di credenze e percezioni su cui si fonda: scopo dell’articolo è condividerle, per offrire ai lettori un primo spunto su cosa è possibile fare per sviluppare l’autoefficacia.
La prima fonte è la cosiddetta “mastery”, vale a dire le precedenti esperienze personali di successo. In altre parole, ripensare alle esperienze comportamentali di gestione efficace di una determinata situazione, è il modo più immediato e diretto per aumentare la fiducia nelle proprie abilità.
La seconda fonte dell’autoefficacia è data dalle “esperienze vicarie”, ossia dall’osservazione di altre persone. Osservare altre persone che riescono a padroneggiare una certa circostanza, molto spesso contribuisce di riflesso ad innescare cambiamenti comportamentali nel soggetto che osserva. Riguardo alle esperienze di modellamento, mi preme aggiungere che secondo le ricerche sull’apprendimento sociale, affinchè sia efficace il modello deve essere ritenuto in qualche modo simile. In altri termini, una donna sovrappeso che desidera apprendere l’abilità di mangiare meno, difficilmente potrà utilizzare come riferimento efficace una top-model senza un grammo di grasso.
Terza fonte dell’autoefficacia è la persuasione sociale, che ha a che fare con la sfera sociale e relazionale di un individuo. Essere circondati da una cerchia sociale di familiari, amici e conoscenti capaci di supportare e stimolare, è un altro fattore incrementale del senso di efficacia personale, in grado di favorire l’apprendimento e lo sviluppo di nuove capacità.
Le ultime due fonti sono gli stati fisiologici ed affettivi, e le esperienze immaginative.
I primi riguardano le sensazioni ed il dialogo interiore.
Nella vita di tutti i giorni, a volte capita di incappare in situazioni tali da procurare del disagio, ma chi ha un’elevata autoefficacia ha imparato ad interpretare diversamente certe sensazioni negative: ad esempio ha imparato a vedere l’ansia come attivazione, o il nervosismo come energia. Per fare questo è fondamentale lavorare sul proprio dialogo interiore, ossia sul canale cognitivo dell’autoefficacia.
Concludo l’articolo parlando delle esperienze immaginative. Con queste, si intendono le esperienze immaginate ripetute, le visualizzazioni in cui vediamo la nostra persona agire efficacemente nelle situazioni più sfidanti. Il presupposto di partenza è che il cervello umano non sia perfettamente in grado di distinguere ciò che è reale da quanto è solo vividamente immaginato, per cui immaginare ripetutamente e con elevata intensità emozionale di riuscire a padroneggiare una determinata situazione può servire a creare una nuova via nervosa ed emotiva per percorrere il comportamento desiderato.
La ricerca psicologica ha talmente avvalorato gli studi fatti sul potere dell’immaginazione, che le pratiche di visualizzazione sono entrate stabilmente a far parte di protocolli terapeutici (ad esempio la desensibilizzazione sistematica), utilizzati soprattutto nell’ambito della terapia cognitivo-comportamentale.