Dopo avere illustrato le tipologie più ricorrenti di problematici del tempo, analizzerò in questo articolo altre specie di maldestri dell’orologio.
Il tiranno del tempo altrui, ad esempio: è tipico di quelle persone che vanno sempre di fretta e che sono mosse da un’intensa agitazione interna. Familiari, collaboratori ecc. si ritrovano spesso a girare come trottole intorno all’ansia perenne di questi soggetti, che manifestano una forma di narcisismo che finisce per penalizzare il tempo altrui.
Poi c’è l’ansioso, preoccupato dai suoi dubbi, e che spesso e volentieri agisce al momento sbagliato. L’ansia gli fa anticipare gli eventi costringendolo ad arrivare troppo presto, o al contrario manda in tilt la sua programmazione fino a farlo arrivare in ritardo. Allora si angoscia e preso dal panico, finisce per aumentare i suoi insuccessi in una specie di spirale infernale.
Molto diverso dall’ansioso è il perditempo: se il primo usa l’orologio come un tranquillante, il secondo ha mandato in frantumi tutti gli orologi della sua vita! Il perditempo ragiona in base ad un ritmo tutto suo, rallentato e disorganizzato, a volte lentissimo, e che gli fa percepire gli altri come formiche impazzite, che corrono avanti ed indietro senza senso. Il perditempo è spesso un gran sognatore, adatto ad un lavoro creativo e senza vincoli d’orario.
Un tipo molto interessante di malato del tempo è l’anacronista, colui che vuole negare il passare del tempo. L’anacronista è un narciso molto impegnato nello sforzo di non invecchiare, e che prolunga in età adulta dei comportamenti adolescenziali, accompagnati dal bisogno di sedurre e di piacere tipici dell’infanzia. In questo caso il disturbo impatta sulla dimensione più intima della relazione con il tempo, sulla negazione del suo inesorabile incedere che delega al bisturi (o ad altri accessori) il mantenimento di questa illusione.
Simile all’anacronista è il nostalgico, malato di un sentimento poetico e struggente, ma anche pericoloso. Come ci ricorda l’etimologia greca della parola, la nostalgia è un “dolore del ritorno” (da “νόστος”, ritorno, e “άλγος”, dolore). Il problema è che si tratta di un impossibile viaggio all’indietro. Si vorrebbe tornare al passato, ad una città lasciata anni prima, ad un amore perduto: insomma, ad un tempo che non c’è più.
L’autore alla fine del capitolo tratteggia una malinconica figura di nostalgico del tempo: un uomo che non riesce a dimenticare una bellissima storia d’amore finita dieci anni prima. Le sue giornate sono ancora piene di rimpianto per una donna di cui non sa più nulla e che certamente si è rifatta una vita. La sua nostalgia potrebbe essere un’emozione positiva, ed invece gli rallenta la vita e gli imbavaglia le emozioni. Ed il tempo del rimpianto gli impedisce di innamorarsi di nuovo.
Questa breve trattazione sui maldestri dell’orologio si conclude qui: si può aggiungere che essere un po’ ritardatari, o ansiosi per certi appuntamenti, sono delle alterazioni veniali del rapporto con il tempo, ma se queste arrivano a permeare completamente il nostro modo di viverlo, possono diventare delle vere e proprie patologie.
Ed in questa società “cronofaga”, che divora le ore sul quadrante dell’orologio, sviluppare una patologia del tempo non è poi cosi’ difficile. Il morbo che la alimenta è quello della fretta: il tempo vola via e diventa un tesoro irraggiungibile, cosi’ che tante persone sembrano essere diventati altrettanti conigli bianchi preoccupati di essere puniti dalla duchessa.
D’altronde un celebre musicista, Hector Berlioz, diceva che “Il tempo è un grande maestro; peccato che uccida tutti i suoi allievi”.