Un altro concetto di cui voglio tessere l’elogio, in questo breve articolo, è il valore dell’umiltà.
Che questo valore sia intriso di un significato positivo, in grado di nobilitare l’animo umano e la vita stessa, non è così scontato come potrebbe apparire.
Nel mondo di oggi infatti, sempre più veloce, dominato dall’apparenza e dalla ricerca incessante di approvazione, l’umiltà sembra aver perso il suo posto tra le virtù. Spesso fraintesa come debolezza o sottomissione, questa qualità è diventata una delle meno celebrate nella società contemporanea. Eppure, alle sue origini, l’umiltà rappresentava un pilastro per la crescita personale e collettiva, un caposaldo del vivere quotidiano.
L’umiltà, lungi dall’essere un difetto, era una virtù centrale nelle tradizioni culturali e filosofiche del passato.
Nell’antica Grecia, il concetto di “hubris” (eccesso di arroganza) era considerato una delle principali cause di rovina per gli individui. Contrapposto a questa tracotanza, l’umiltà – intesa come misura e consapevolezza dei propri limiti – era il segno distintivo di chi aspirava alla saggezza. Socrate stesso, con la sua celebre frase “So di non sapere”, rappresentava un ideale di umiltà intellettuale: il riconoscimento della propria fallibilità come punto di partenza per l’apprendimento.
Anche nella tradizione cristiana, l’umiltà aveva un valore enorme, e era al centro dell’insegnamento di Gesù. Non come forma di sottomissione, ma come un atteggiamento di apertura verso l’altro e verso Dio, capace di rendere l’uomo autentico e libero dall’ego. La Bibbia stessa insegna: “Beati i miti, perché erediteranno la terra”
Nelle filosofie orientali, come il Taoismo e il Buddismo, l’umiltà era vista come una via per armonizzarsi con il mondo. L’idea di non mettersi al centro dell’universo, ma di comprendere il proprio ruolo all’interno di un tutto più grande, veniva considerata una forma profonda di umiltà che conduce alla serenità interiore.
In tutte queste prospettive, l’umiltà era associata non a una negazione di sé, ma alla capacità di vedere il proprio posto nel mondo in modo realistico e rispettoso, evitando gli eccessi dell’arroganza e della presunzione.
Al giorno d’oggi invece, come detto in apertura, l’umiltà sembra essere una qualità poco apprezzata, se non addirittura disprezzata. I social media, con la loro enfasi su apparire perfetti e raccogliere consensi, incoraggiano una visione distorta del valore personale, in cui chi è umile può essere percepito come debole o poco ambizioso.
Questa svalutazione dell’umiltà non è prova conseguenze. L’arroganza e l’egoismo generano divisioni, conflitti e una crescente incapacità di ascoltare gli altri. Nel contempo, chi cerca di vivere con umiltà rischia di sentirsi fuori posto in un contesto che premia più chi “alza la voce” che chi riflette con saggezza.
Fortunatamente, negli ultimi anni l’umiltà è tornata a splendere di una luce più brillante, grazie al contributo della psicologia positiva e di Martin Seligman.
Secondo questa prospettiva, esistono 6 virtù fondamentali, condivise trasversalmente da ogni cultura, tempo e tradizione, e tra queste rientra la temperanza: questa virtù si esprime e manifesta attraverso delle specifiche potenzialità o forze caratteriali, tra cui appunto l’umiltà.
L’umiltà, dunque, è capacità di esercitare il controllo sulle emozioni, i desideri e i comportamenti per evitare eccessi. Non è debolezza, bensì coraggio.
Il coraggio di riconoscere i propri limiti, di accogliere gli altri con rispetto e di vivere una vita autentica, libera dal peso dell’ego. Riscoprirla non solo potrebbe migliorare le nostre vite individuali, ma anche contribuire a costruire una società più giusta, empatica e consapevole. Ecco che allora la via intrapresa da Seligman sembra essere la migliore: restituire all’umiltà il posto che merita, al centro delle virtù che rendono la nostra umanità davvero grande.