Nel mio blog personale non poteva mancare una pagina dedicata al teatro, per la quale vorrei partire…da mooolto lontano!
Nientemeno che dal teatro dei burattini del Gianicolo a Roma.
Quando avevo circa 3 o 4 anni, i miei genitori e la nonna materna che abitava li vicino, mi portavano spesso a vedere il famoso spettacolo di Pulcinella, ed i miei parenti rimanevano esterrefatti di come riuscissi a riprodurre a memoria, burattini alla mano (che naturalmente mi erano stati regalati dai miei) interi brani della rappresentazione.
Io non ho ricordi di quelle mie precoci esibizioni, ma i miei genitori ancora oggi me le descrivono come una sorta di fenomeno portentoso, considerato quanto fossi piccolo.
Credo allora che salire su un palcoscenico fosse nel mio “destino” anche se questo è avvenuto relativamente tardi, quando avevo già 27 anni; forse, prima, ero stato frenato in qualche modo dal pudore e dalla timidezza: una cosa è esibirsi davanti ai parenti, dentro casa, un’altra è presentarsi su un palcoscenico davanti ad un pubblico vero e proprio!
Sulla base della mia esperienza personale, sono convinto di questo:
il teatro è uno dei più potenti strumenti di formazione e sviluppo personale!
Devo tanto al teatro e gli riconosco un ruolo importante nel mio percorso di sviluppo umano.
Più nello specifico, riconosco a questa forma di espressione artistica le seguenti virtù:
– Il teatro aiuta a superare pudori ed inibizioni, ed aiuta ad affrontare ed a vincere l’eccessivo timore del giudizio degli altri;
– E’ una meravigliosa palestra di fantasia e creatività: quando l’allievo attore (non importa se professionista o dilettante), durante il suo percorso accademico o laboratoriale si mette alla prova in un esercizio di improvvisazione, con il compito di creare su due piedi un qualsiasi personaggio, oltre ad esporsi al giudizio sociale, si allena ad attingere alle sue potenzialità emotive e creative;
– E’ un mezzo straordinario per prendere contatto con le proprie emozioni e per esprimerle, anzichè reprimerle;
-E’ un facilitatore rispetto alla cooperazione ed al lavoro di gruppo;
– E’ infine un modo per potenziare e tenere in allenamento le facoltà di concentrazione e memoria.
Ora, non si può credere che tutti questi piani, se adeguatamente sollecitati, possano non svilupparsi e propagarsi anche al di fuori del palcoscenico, contaminando con la loro ricchezza la vita reale di chi li sta sperimentando.
Sbloccare remore di vergogna e timidezza aiuta ad incrementare la fiducia in se stessi ed ha effetti sulle sfera dei rapporti interpersonali.
L’allenamento della fantasia e della creatività rende possibile la “creazione” nella vita di tutti i giorni, sbloccando le capacità di improvvisazione cui a volte è necessario appoggiarsi, quando la mancanza di tempo oppure un qualche imprevisto possono pregiudicare un’adeguata pianificazione.
Durante un buon percorso laboratoriale, l’allievo viene costantemente invitato a fare uso di tutti i colori della tavolozza delle emozioni sperimentando le diverse tonalità: paura, vergogna, tristezza, rabbia, gioia.
Allenarsi ad esprimere scenicamente queste ed altre emozioni, rappresentandole con il linguaggio verbale e soprattutto con la postura e gli atteggiamenti del corpo, singolarmente e nelle interazioni di gruppo, non può non avere effetti, nel tempo, sulla capacità di riconoscere e gestire meglio le emozioni.
La spinta alla cooperazione ed a sentirsi parte di un gruppo è favorita ad ogni livello del tessuto sociale di una persona.
Tra le tantissime prove ed esperimenti sulle emozioni, ne ricordo due in particolare: il primo riguardava l’interpretazione scenica di un sogno ricorrente, senza fare uso del verbale ma soltanto della mimica facciale e corporea. A turno l’allievo saliva sul palco, di fronte all’insegnante ed ai compagni e vivificava questa rappresentazione onirica.
Il secondo ricordo è molto recente, è legato al mio ultimo percorso laboratoriale ed ha a che fare con l’espressione in rapida sequenza di 4 diversi stati emotivi: preoccupazione, paura, gioia, rabbia.
In sottofondo una bellissima musica, “Satin birds” (Uccelli di seta) del compositore polacco Abel Korzeniowski, con delle note di un’intensità quasi struggente.
Anche in questo caso non erano consentite le parole, al massimo si poteva gridare, soprattutto si faceva uso dello sguardo e della gestualità ed il passaggio da uno stato emotivo al successivo dovevano essere graduali ma comunque trasmettere il senso del cambio di registro.
Ricordo ancora chiaramente, nonostante sia passato del tempo, la sensazione di alleggerimento emotivo, di quiete ed armonia interna date dalla liberazione di energie emotive e creative che nella vita di tutti i giorni si tende a far restare intrappolate.
In questo senso, il teatro è liberatorio e catartico.
Poichè ho voluto dare all’espressione teatrale questa connotazione di palestra emotiva e creativa, non posso esimermi dal fare un cenno a Konstantin Stanislavskij, una delle figure più importanti del teatro del ventesimo secolo.
Stanislavskij rompe con il teatro del “far finta” e crea un nuovo stile, la cui chiave è il naturalismo, la fedeltà alla realtà, alla verità ed alla vita stessa, per raggiungere la massima aderenza dell’attore al personaggio.
In altre parole: VIVERE il personaggio anzichè RAPPRESENTARLO.
Il metodo che porta il nome del regista teatrale russo pone l’accento sull’approfondimento psicologico del personaggio: l’attore, per interpretarlo non deve semplicemente esteriorizzare, ma ricercare il contatto e l‘affinità tra il suo mondo interiore ed il suo vissuto, e quelli del personaggio.
Mi piace proporre questa frase di Oscar Wilde, apparentemente paradossale come è nello stile dell’autore, ma, appunto, solo in apparenza perchè in essa è contenuta anche un messaggio veritiero che riflette il concetto di autenticità della maschera.
Molte persone nella vita reale, hanno difficoltà ad esternare i loro veri sentimenti e riescono a farlo meglio frapponendo tra sè ed il mondo esterno una qualche sorta di sovrastruttura: è il caso dei tanti “social” che dilagano nel mondo attuale, e che per certuni sono l’unico strumento per esprimere gli stati d’animo che nei contesti della comunicazione ordinaria vengono celati.
In questo senso, il lavoro attoriale si sviluppa in direzione opposta rispetto alla comune accezione secondo cui il teatro sarebbe inganno e finzione (ed in questo, il contributo del maestro Stanislavskij è un fattore essenziale): recitare non è indossare delle maschere e “costruirsi“, quanto proprio l’opposto: sgretolare le maschere che quotidianamente si indossano, mettendosi a nudo e vivificando in un altro essere umano le parti più intime di sè, comprese le debolezze e vulnerabilità.
E questa è una fonte di ricchezza inestimabile che il teatro ha portato nella mia vita, ed in quella dei compagni con cui ho condiviso le mie esperienze: vivere delle esistenze parallele, anche se la loro durata è stata quella di un frammento di un sogno, o di più sogni, e permettermi di conoscere meglio me stesso grazie alle speranze ed ai desideri, alle paure ed umane debolezze dei personaggi vissuti.